Pietro Gori e Carrara. Legami e visite del cavaliere errante dell’anarchia

Pietro Gori e Carrara. Legami e visite del cavaliere errante dell’anarchia nella città del marmo. di Gino Vatteroni

1. Alcuni cenni sulla vita e le attività di Pietro Gori.

Pietro GoriIl 22 novembre del 1891, il Ministero degli Interni inviava una nota riservata a tutti i prefetti del Regno nella quale si invitava a sottoporre a «speciale sorveglianza» l’avvocato anarchico Pietro Gori per il suo «carattere audace» e per il suo «ingegno svegliato».1 In essa erano tratteggiate per sommi capi le principali iniziative ed attività  svolte dal Gori2 fino ad allora, comprese le denunce e le condanne subite, nonché una  breve descrizione antropometrica corredata da una sua fotografia. Nato a Messina, dove il padre era allora impiegato come comandante del presidio d’artiglieria, il 14 agosto 1865 da una famiglia originaria dell’Isola d’Elba, nel 1878 Gori si stabilì a Livorno ove compì gli studi classici, aderendo, giovanissimo, ad una associazione monarchica dalla quale venne espulso per imprecisate «indelicatezze», e collaborando anche al periodico romano La Riforma con «articoli moderatissimi».3 Giunto a Pisa alla metà degli anni Ottanta, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza, laureandosi nel 1889 discutendo con Francesco Carrara una tesi di sociologia criminale dal titolo La miseria e il delitto. E fu proprio durante il soggiorno pisano che Gori maturò quelle scelte e quelle esperienze che faranno della sua la voce più ascoltata dell’anarchismo nell’intera regione. «La di lui evoluzione verso le dottrine libertarie – ricorderà anni dopo l’amico e compagno di fede Virgilio Mazzoni – incominciò dopo la frequenza alle conferenze di Livorno ed alle veglie goliardiche del Caffè dell’Ussero a Pisa ove gli studenti chiassosi si frammischiavano volentieri agli operai studiosi e a non 1 Cfr. la Nota Riservata del Prefetto di Massa ai Sottoprefetti di Castelnuovo e Pontremoli e ai Delegati di P.S. di Carrara ed Aulla del 27 novembre 1891, in Archivio di Stato di Massa [d’ora in poi A.S.M.], Questura di Massa, I° versamento, b. 54, fascicolo Gori Pietro. 2 Per una biografia ed un’ampia bibliografia di e su Pietro Gori cfr. la relativa voce curata da M. Antonioli e F. Bertolucci in AA.VV., Dizionario biografico degli anarchici italiani, BFS, Pisa, 2003, Vol. I, pp. 745-751. 3 Cfr. la Nota Riservata cit. pochi vecchi militi dell’Internazionale».4 Conferenziere facondo, animatore e coordinatore dei gruppi anarchici locali, polemista vivace, la sua voce trovava espressione e risonanza, oltre che in raccolte di versi, in pamphlet e opuscoli di argomento politico e sociale, che incontravano una diffusione certo non comune per l’epoca.5 Il primo di tali libelli, dato alle stampe nel maggio del 1889, col titolo di Pensieri ribelli, riscosse un ottimo successo, anche grazie all’inaspettata pubblicità procuratagli dal sequestro, ordinato dalle autorità, e dal successivo processo – il primo di una lunga serie subita da Gori – cui fu sottoposto l’autore, ma che si concluse con la sua piena assoluzione, per la presenza in tale opuscolo di «concetti ed espressioni offensive le inviolabilità del diritto di proprietà, provocanti l’odio tra le varie classi sociali, attaccanti l’ordinamento delle famiglie e la religione di stato».6 Il pamphlet in questione illustrava con semplicità ed efficacia i principi del comunismo anarchico. Dopo aver sostenuto l’origine ingiusta della proprietà privata – frutto del furto quotidiano del lavoro degli operai, autorizzato dalle leggi a vantaggio di pochi sfruttatori – e aver denunciato l’oppressione dominante nella «attuale società» – consentita da istituzioni come l’autorità, la patria, la famiglia – Gori auspicava una «società nuova» basata sulla proprietà comune, sul lavoro liberato e sul noto principio «da ciascuno secondo le proprie forze, a ciascuno secondo i propri bisogni». Lo scritto si concludeva annunciando «l’alba radiosa» in cui «cadranno le mostruose decrepite istituzioni del presente, e l’organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente secondo le leggi immutabili della natura». L’anno seguente, la manifestazione di lavoratori tenutasi a Livorno in occasione del 1° maggio, conclusasi con una serie di scontri tra «la folla varia di operai, di marinai, di studenti» e «gli assoldati di polizia»,7 portava Gori, assieme ad altri 27 studenti e operai, nuovamente in tribunale, accusato di «ribellione ed eccitamento all’odio fra le diverse classi sociali» nonchè indicato come organizzatore dello sciopero preparato per «la prima pasqua del lavoro».8 Condannato ad un anno di reclusione, condanna che in appello fu ridotta a sei mesi, Gori veniva rimesso in libertà il 10 novembre del 1890. Nel gennaio successivo raggiungeva Milano e il Canton Ticino e partecipava, 4 V. S. Mazzoni, Pensieri e ricordi ed opere di P. Gori, Pisa, 1922, pp. 12-13. 5 Si pensi, a titolo d’esempio, che i primi due volumetti di Prigioni e battaglie, una raccolta di versi nei quali si delinea l’immagine del «buono e forte cavalier» dell’ideale nel contrasto tra il «bel sogno luminoso» e «la orrenda spira/d’un fato inesorabile e crudel», pubblicati nel 1891 con una tiratura di 9000 copie, vennero esauriti nel giro di pochi mesi (cfr. Pasquale Binazzi, La morte di Pietro Gori, in Il Libertario del 12 gennaio 1911). 6 Atto d’accusa del processo contro Pietro Gori tenutosi il 20 novembre 1889, citato in AA.VV., Dizionario biografico cit., p. 745. 7 I miei Primi di Maggio, in P. Gori, Pagine di vagabondaggio, Opere, vol. IX, La Spezia, La Sociale, 1912, pp. 13-14. 8 Ibidem. all’Osteria dell’Ancora di Capolago, insieme con altri noti esponenti dell’anarchismo italiano – Malatesta, Galleani, Merlino e Cipriani – al congresso di costituzione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario. Stabilitosi a Milano, Gori lavorò nello studio legale di Filippo Turati, quindi riuscì ad aprirne uno proprio, non senza alcune difficoltà dovute all’iniziale ostracismo nei suoi confronti da parte del consiglio dell’ordine degli avvocati del capoluogo lombardo.9 Grazie al suo attivismo e alle sue doti di propagandista, il movimento libertario milanese, momentaneamente decimato in seguito ai processi degli anni 1889-90, riprese rapidamente consistenza: il suo ascendente sia sui militanti maturi sia sui giovani operai divenne fortissimo ed in conseguenza di ciò le attenzioni dell’autorità tutoria nei suoi confronti si fecero sempre più pressanti, fino a culminare nella già citata nota riservata del Ministero degli Interni indirizzata a tutti i prefetti del Regno. Parallelamente alla sua attività di agitatore, fatta di conferenze, collaborazioni a diversi periodici anarchici, pubblicazioni di opuscoli di carattere politico e sociale, interventi a numerosi congressi operai (tra cui quello tenutosi a Genova nell’agosto del 1892 che diede vita al Partito Socialista Italiano, ed in cui sostenne, assieme al Galleani, le posizioni intransigenti della corrente antiparlamentare), Gori coltivava la passione per lo studio attraverso traduzioni varie, composizione di poesie, canzoni10 ed opere teatrali,11 e soprattutto impegnandosi a livello legale nella difesa di numerosi compagni, partecipando a processi come quello di Viterbo a Paolo Schicchi (maggio 1893), di Chieti a Camillo Di Sciullo (aprile 1894), di Genova a Luigi Galleani (maggio-giugno 1894), non perdendo occasione di “processare” a sua volta la società borghese e “liberticida” e offrendo un modello di arringa politica che verrà usato a scopi di propaganda con la pubblicazione delle sue più note difese.12 Ed è proprio in occasione di 9 Cfr. Pasquale Binazzi, La morte di Pietro Gori cit. 10 Tra le tante la più famosa è sicuramente Il canto degli anarchici espulsi, meglio nota come Addio a Lugano, composta nel gennaio del 1895 mentre era in carcere a Lugano in attesa di essere espulso, assieme ad altri 17 italiani “indesiderabili”, dal territorio svizzero, ove si era stabilito con la sorella Bice a partire dal luglio 1894 per sfuggire alla campagna diffamatoria di alcuni quotidiani milanesi (La Lombardia e La Sera) volta a ricollegare il suo nome all’attentato di Sante Caserio, amico e compagno di fede di Gori, contro il presidente della repubblica francese Sadi Carnot, e per sottrarsi ad una sicura condanna (gli verranno infatti comminati in contumacia cinque anni di domicilio coatto) dopo l’emanazione avvenuta in quello stesso mese di luglio delle cosiddette leggi eccezionali da parte del governo italiano presieduto da Francesco Crispi. 11 Tra i più noti è il bozzetto sociale in un atto Primo Maggio, pubblicato a Barre (Vermont) nel marzo 1896 e che venne rappresentato per la prima volta a Paterson (in tale occasione Gori si improvvisò anche attore). Da quel momento il bozzetto si diffuse in Italia e nei gruppi anarchici sparsi lungo le rotte dell’emigrazione, diventando uno dei testi più rappresentati del teatro sociale, mentre l’Inno cantato sull’aria del coro del Nabucco accompagnò per trent’anni le manifestazioni operaie, a gara con l’Inno dei lavoratori di Turati. 12 In tal senso si vedano le seguenti pubblicazioni: Il nostro processo: la difesa di Pietro Gori (Chieti, 1894), Gli anarchici e l’art. 248 del Cod. Pen. Italiano, difesa dell’avv. Pietro Gori innanzi al Tribunale Penale di Genova (Paterson, 1895), Gli anarchici sono malfattori? Difesa pronunciata il un processo che Pietro Gori ebbe il suo primo contatto diretto con il movimento anarchico carrarese e con diversi esponenti dell’ambiente intellettuale locale. 2. Il processo di Casale Monferrato. Il 1° marzo del 1898 si apriva, alla Corte d’Assise di Casale Monferrato, per legittima suspicione, il dibattimento del processo intentato contro ben 30 carraresi (per lo più socialisti ed anarchici)13 per il tentato omicidio, avvenuto la sera del 17 gennaio 1897, del delegato di P.S. di Carrara Antonio Salsano e per lo scoppio di alcune “misteriose” bombe, avvenuto nei mesi di giugno, settembre e novembre del 1896, nella stessa città di Carrara. A corredo e a sostegno dell’atto di accusa, coinvolgente un così gran numero di imputati, stava il famigerato articolo 248 del Codice Penale (associazione di malfattori), allora frequentemente utilizzato dall’autorità tutoria nel tentativo di stroncare e scompaginare qualsiasi tipo di opposizione politica e sociale alle istituzioni costituite da parte delle classi popolari italiane.14 Il collegio di difesa degli imputati vantava nomi illustri: oltre a Pietro Gori erano presenti, tra gli altri, Adolfo Zerboglio, Agostino Berenini e i carraresi Camillo Micheli e Carlo Micheloni, che dal gennaio 1898 ricopriva la carica di sindaco della città del marmo. Il processo, seguito con viva attenzione sia dalla stampa locale sia da quella nazionale d’opposizione, dall’Avanti! a L’Italia del Popolo, si chiuse il 21 aprile con la piena assoluzione di quasi tutti gli imputati: caddero nel corso del dibattimento tutte le accuse e l’attentato al delegato di P.S. venne ridimensionato da atto architettato e voluto da un’onnipotente “setta anarchica” ad un gesto di vendetta compiuto da due giovani contro il loro persecutore.15 27 aprile 1898 innanzi al Tribunale Penale di Ancona nel processo Malatesta e compagni (Roma- Firenze, 1905), Le difese pronunciate innanzi ai Tribunali e alle Corti di Assise (La Spezia, 1911). 13 Tra questi figuravano i socialisti Vico Fiaschi, figlio di una delle famiglie più in vista dell’ambiente carrarese (il padre, tra l’altro, aveva ricoperto la carica di presidente della locale Camera di Commercio ed Arti), Carlo Polleschi, Viduglio Chioni, Primo Dantilio, Primo Ratti, Alcide Storti, Augusto Freschi ed Egisto Baldi, e gli anarchici Domenico De Filippi, Giovanni De Santi, Egisto Rocchi, Torquato Palamidessi, Carlo Zeri (tutti già precedentemente condannati dal Tribunale Militare di Massa pei moti del 1894), Giuseppe Gatti, Ugo Venè e Domenico Zaccagna. 14 Ai giorni nostri, gli articoli spesso utilizzati dagli organi di polizia e dalla magistratura con intendimenti simili a quelli di allora sono gli attuali 270 e 270 bis del Codice Penale (associazione sovversiva). 15 Primo Dantilio e Viduglio Chioni. Per le persecuzioni cui quest’ultimo fu sottoposto dal Salsano, cfr. Lo Svegliarino, Supplemento straordinario: Processo per l’attentato a Salsano svoltosi alla Corte d’Assise di Casale Monferrato, n. 10, interrogatorio Vico Fiaschi, e, in A.S.M., Prefettura di Massa, Archivio di Gabinetto, II° serie, b. 13, fascicolo Delegato di P.S. Salsano Antonio, la Nota Nella sua arringa difensiva, tenutasi il 14 aprile a cui assistè «molto pubblico, insolitamente affollato»,16 Gori esordì affermando che in tale occasione avrebbe voluto «nè suoi panni si [fosse trovato] un buon conservatore inglese, per poter stigmatizzare con parole roventi la montatura di questo processo, e per poter trovare le frasi […] che a lui, eterodosso, non [sarebbero] consentite».17 Proseguiva poi dicendo che nel corso del processo di sovversivo vi erano state solo le tesi sostenute dal Pubblico Ministero, mentre invece il diritto di associazione avrebbe dovuto essere ampiamente riconosciuto, citando, a tal proposito, numerose sentenze di diversi tribunali del Regno le quali dimostravano che «la sola associazione anarchica non [poteva costituire] il reato di associazione a delinquere».18 E per spiegare ai giurati che cosa fosse questa tanto vituperata anarchia, Gori citava alcuni brani tratti dall’opera di Ernest Renan La vita di Gesù,19 affermando, come già aveva fatto nel corso del processo contro Camillo Di Sciullo tenutosi a Chieti nell’aprile del 1894, che «[…] Cristo medesimo, condannato più come riformatore sociale che come religioso, era sotto ogni aspetto anarchico, giacchè non ammetteva idea di governo, il quale a lui sembrava puramente e semplicemente un abuso. E partendo dal concetto che gli uomini eguagliati nelle condizioni, devono di necessità divenire fratelli, giungeva a conclusioni comunistiche».20 Quindi, citava lunghi brani del giurista Pietro Ellero21 per «dimostrare come i principi e le teorie anarchiche – discutibili fin che si vuole – non si possono far passare sotto le forche caudine dell’art. 248 e [spiegava] come e perchè gli anarchici [fossero] temuti e perseguitati unicamente per le loro idee nuove ed audaci».22 Escludendo che la cosiddetta setta anarchica in Carrara si fondasse su di un patto di scelleraggine, Gori attaccava, affidandosi anche alle parole del giurista Francesco Carrara,23 l’uso frequente da parte dell’autorità tutoria di portare nei giudizi penali le “testimonianze” avute da dell’Ispettore di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 5 giugno 1896, con il relativo incartamento. Dantilio e Chioni dopo il tentato omicidio sfuggirono all’arresto. Chioni morirà suicida negli U.S.A., ove viveva sotto il nome di Emilio Vochini, il 25 febbraio 1907. 16 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario: Resoconto del processo per l’attentato al Delegato Salsano, n. 53. 17 Lo Svegliarino, Supplemento straordinario cit., n. 53. 18 Ibidem. 19 Quest’opera, pubblicata nel 1863, suscitò accese discussioni e scandalo. La tesi sostenuta era quella di considerare la figura di Gesù come un personaggio storico e sotto la luce umana e terrena, negandone perciò la natura divina, riconoscendo agli insegnamenti del Cristo un semplice valore esemplare. Su Joseph Ernest Renan (1823-1892), critico positivista, filologo e storico delle religioni, cfr. Diego Fusaro (a cura di) in www.filosofico.net, ad nomen. 20 Dalla difesa di Pietro Gori a Camillo Di Sciullo, in P. Gori, Le difese pronunciate cit. 21 Su Pietro Ellero (1833-1933), cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Pietro_Ellero. 22 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 53. 23 Su Francesco Carrara (1805-1888), cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Carrara. confidenti ignoti, affermando che tali infernali macchinazioni potevano benissimo essere equiparate ai metodi inquisitoriali di un tempo e che, oltretutto, si fondavano solo su argomentazioni e deduzioni vaghe ed imprecise che si tentava di elevare a sistema. Illustrando le famose parole del filosofo repubblicano Giovanni Bovio,24 «anarchico è il pensiero e verso l’anarchia va la storia», Gori concludeva «Sarà [l’anarchia] un sogno, un’utopia, un peccato di entusiasmo, di troppa bontà, di ingenuità: ma se questo sogno non si estrinseca in via delittuosa, non dev’essere punibile. Noi vi domandiamo la libertà di costoro colle parole di un prete, il Lammenais, il quale ai fedeli raccomandava di rispettare tutte le opinioni, pensando alle catacombe, dove innumerevoli falangi di cristiani morirono, colpevoli solo di adorare il Dio da loro prescelto. Io, eterodosso come sono, m’inchino allo Statuto, al patto bilaterale fra capo dello Stato e popolo, […] frutto del sangue di cospiratori, dei perseguitati di ieri, e voi o giurati del Monferrato, liberando costoro, affermerete questo diritto sacrosanto di libertà, e festeggerete nel modo migliore ed opportuno il 50° anniversario della sua elargizione».25 Il ritorno a Carrara degli imputati assolti dalla giuria di Casale Monferrato fu salutato da migliaia di persone, che tributarono loro una calorosa accoglienza: «[…] verso le ore 4 pom. [del 22 aprile] molta gente cominciò ad avviarsi alla stazione, e quando giunse il treno si può calcolare che nel viale e lungo via Vittorio Emanuele stazionavano oltre 5 mila persone. L’aspettativa di questa gente non fu delusa perchè il treno conduceva due degli accusati principali, e cioè Vico Fiaschi e Ratti. L’arrivo di costoro fu accolto da fragorosi battimani e da grida di evviva la giuria di Casale, viva l’innocenza trionfante ed altre. Impossibile descrivere le feste fatte al povero Vico che appena sceso dal vagone fu accolto fra le braccia dell’infelice suo padre cui la gioia rendeva commosso fino alle lagrime […]. La folla accompagnò i due arrivati fino alle porte di casa Fiaschi, e chiamato dalle grida di evviva e dai continui battimani Vico Fiaschi dovette affacciarsi al terrazzo, donde pronunziò vibrate e commoventi parole, ringraziando prima il pubblico dell’accoglienza fattagli, e poi raccomandando una calma dignitosa, pregando di non abbandonarsi a grida contro chi era stato causa della sua lunga prigionia e che doveva essere abbastanza punito e confuso apprendendo la sua liberazione. Ma intanto si era sparsa la voce che tutti gli altri liberati insieme dovevano giungere col treno che arriva all’Avenza alle ore 8¼ di sera. […] Fra le otto e mezzo e le nove una straordinaria folla si era andata assiepando da piazza del Teatro fino oltre il Boccalone in attesa dell’arrivo dei liberati. Si può calcolare che oltre 10 mila persone fossero là radunate. […] Frattanto alle ore 8 e minuti 12 arrivava il treno di genova alla stazione di Avenza ove erano agglomerate almeno tre mila persone con varie bandiere tricolori. Alla fermata il treno che conduceva i liberati fu accolto da un formidabile urrà da tutto il popolo che assiepava la stazione, e le feste fatte ai reduci di Casale furono 24 Su Giovanni Bovio (1837-1903), cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Bovio. 25 Lo Svegliarino, Supplemento straordinario cit., n. 53. grandissime e commoventi. Essi furono portati fuori dalla Stazione dagli amici e conoscenti sempre acclamanti alla giustizia e all’innocenza, e fatti salire sugli omnibus che aspettavano nel piazzale. Moltissimo popolo si trovava anche lungo la strada da Avenza a Carrara, e tutte le case lungo la strada e per la campagna per quanto si poteva spingere collo sguardo erano illuminate a festa. Una interminabile folla con molte fiaccole e bandiere tricolori precedeva, circondava e seguiva a piedi gli omnibus sui quali stavano i reduci, e l’imponente corteo giunse in città circa alle ore 9 e mezzo. All’arrivo degli omnibus preceduti da un pelottone di carabinieri a cavallo e circondati da fiaccole, non si verificò il più piccolo disordine fra tutta quella folla ansiosa che attendeva lungo la via Vittorio Emanuele, piazza del Teatro, Alberica e vie adiacenti. […] L’ordine fu perfettissimo, sebbene la folla fosse enorme, e nonostante l’inutile e provocante apparato di forza [di polizia], poichè, incredibile a dirsi, la cavalleria che aveva preceduto gli omnibus dei prosciolti della Corte d’Assise si era perfino appostata davanti al palazzo Del Medico in piazza Alberica, in attesa forse di caricare la folla dei facinorosi! E questa dignitosa e seria accoglienza degli innocenti liberati, ha provato una volta ancora che razza di covo di anarchici e malviventi è la nostra calunniata città».26 Questo articolo mette bene in mostra quali fossero i sentimenti predominanti nei confronti delle locali autorità tutorie in larghi strati della popolazione e quanto duro e repressivo fosse stato il clima politico e sociale nel carrarese dopo i moti del 1894. Nelle testimonianze rese dai vari agenti di P.S. nel corso del processo di Casale, nelle relazioni e nei rapporti redatti dal Commissario di Carrara e dal Prefetto di Massa negli anni 1895-1897, era più che mai presente una vera e propria psicosi antianarchica. Ogni fatto isolato e di per sè insignificante diveniva ai loro occhi una manifestazione del risveglio della setta anarchica, soprattutto all’indomani della cessazione delle leggi eccezionali e dopo le varie amnistie che avevano condotto alla liberazione di numerosi condannati dei Tribunali Militari del 1894. Una merenda domenicale nei castagneti attorno a Bedizzano veniva considerata un’adunanza anarchica, il ritrovarsi a bere alcuni bicchieri di vino nelle fiaschetterie cittadine, una pericolosa riunione settaria, l’abbracciare in strada uno dei condannati pei moti del ’94, Carlo Gattini, recatosi a Carrara, proveniente dal carcere di Volterra e sotto stretta sorveglianza, per alcuni giorni in attesa di essere condotto al confino ad Acqui, in conseguenza dell’avvenuta commutazione della propria pena, un atto di sfida alle autorità altamente sovversivo. Addirittura, al temuto risveglio anarchico la P.S. locale imputava pure la diminuita affluenza agli spettacoli teatrali: inutile dire, come testimoniò a Casale il segretario del Politeama Verdi, che ciò era dovuto non dalle paure nutrite dai cittadini per l’onnipresente setta, ma dal fatto che «la compagnia non incontrava molto».27 In un tale clima è facile capire come un Luigi Campolonghi, socialista pontremolese, che capitava a Carrara in visita al Fiaschi, fosse invitato in questura e consigliato in quanto 26 L’arrivo dei prosciolti di Casale, in Lo Svegliarino del 24 aprile 1898. 27 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 25. anarchico a lasciare la città al più presto.28 Ma proprio in conseguenza di questi atteggiamenti persecutori, erano andati maturando, in vasti strati della popolazione carrarese, dei forti sentimenti di avversione nei confronti delle autorità tutorie, sentimenti che porteranno, tra l’altro, ad un totale ripensamento da parte della classe dirigente locale del nodo storico del 1894. Gli arresti in massa di giovani operai incensurati, operati all’indomani dell’attentato al Salsano, che godevano la stima dei loro stessi datori di lavoro, e ancor più del giovanissimo Vico Fiaschi, noto a tutti per la sua mitezza, avevano prodotto un’impressione profonda nella popolazione che non poteva certo condividere quanto sul loro conto andava affermando l’autorità tutoria.29 E poichè questa, per suffragare le proprie accuse, faceva continuo riferimento ai moti del 1894, si imponeva, per quanti dissentivano, un diverso giudizio. Giunsero così a Casale Monferrato a testimoniare in difesa degli imputati diversi esponenti moderati cittadini, i quali affermarono «non constagli che dopo il 1894 si [fosse] ricostituita a Carrara alcuna setta»,30 o che vi erano sì degli anarchici in Carrara, «ma non una setta», ritenendo a tal riguardo «esagerati i sospetti e le misure di P.S.».31 Il conte Cesare Del Medico escluse esser stati i moti del 1894 «prettamente anarchici», asserendo che furono dovuti «ad un complesso di cause varie» e che nel corso di questi «non si ebbero mai nè incendi, nè furti, nè attentati alle persone, sebbene per tre giorni nei villaggi all’intorno di Carrara i rivoltosi siensi trovati padroni del campo», concludendo che i «diciotto rivoltosi caduti alla caserma Dogali erano armati… di un tozzo di pane e di null’altro».32 L’avvocato difensore Camillo Micheli, nella sua arringa disse «esagerato il significato attribuito ai moti del 94, che si [dovevano] attribuire ad un forte disquilibrio economico, [che] non furono [solo] agitazione anarchica, poichè vi parteciparono tutti i partiti; i rivoltosi non commisero danni a proprietà o persone; non eran dunque animati da propositi criminosi».33 E analoghi concetti ripetè l’avvocato Carlo Micheloni, sindaco liberal-moderato di Carrara, che a proposito della forza pubblica e del suo atteggiamento in quegli anni, così si espresse: «[…] una vera e propria ossessione, una reciproca suggestione [aveva] invaso l’animo degli agenti. La sua genesi [era] nei moti del 94; in allora furon qualificati anarchici 28 Cfr. Lo Svegliarino, Supplemento straordinario cit., n. 32. 29 «Se si arrestano quelli lì chissà dove si va a finire»: questi a detta del conte Domenico Tenderini i commenti della cittadinanza carrarese alla notizia dell’arresto del Fiaschi (L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 38). 30 Deposizione dell’on. Cherubino Binelli, in L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 46. 31 Deposizione dell’avv. Silvio Pellerano, in L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 37. Ma sulle irresponsabili dichiarazioni rilasciate alla stampa dallo stesso Pellerano nel gennaio del 1894, a sostegno della reazione militare all’indomani dei moti, cfr. G. Vatteroni, “Abbasso i dazi, viva la Sicilia”. Storia dell’insurrezione carrarese del 1894, Zappa, Sarzana, 1993, p. 54. 32 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 38. 33 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 54. anche i mazziniani, i socialisti, i repubblicani, i monarchici! Anche Mario Lazzoni fu condannato, come anarchico. A quelle condanne seguì la sovrana amnistia. […] I rapporti degli agenti di P.S. in questo processo pigliano le mosse da quell’amnistia, che quasi pare vogliano sindacare. Si incomincia a constatare che gli amnistiati si trovano fra loro, vanno fra loro a bere nelle osterie ed ecco si intravvede il riorganizzarsi dei gruppi [anarchici]; si va a fare una merenda? gli agenti vi intravvedono la conferenza anarchica! Ed il concetto si ribadisce di bocca in bocca, si trasfonde e si radica nei rapporti ed ecco creata la reciproca suggestione: i superiori hanno le loro informazioni dagli inferiori; questi le hanno da quelli: è tutto un circolo vizioso. […] Vedevano tutto brutto, l’eccidio imminente, ma nessuno conferma le loro supposizioni ed ecco che [questi funzionari] attribuiscono il silenzio nel pubblico alla paura di danni ad opera della misteriosa setta [anarchica]».34 3. La riorganizzazione del movimento anarchico e la nascita della C.d.L. di Carrara. L’atteggiamento tenuto dalla locale classe dirigente nel corso del processo di Casale, unito ai forti sentimenti di solidarietà e di vicinanza nei riguardi degli imputati da parte della popolazione, permisero, negli anni seguenti, la graduale riorganizzazione del movimento anarchico carrarese, e favorirono l’affermarsi di una propaganda alla luce del sole delle idee libertarie. La vigilanza delle autorità tutorie nei confronti dei vari militanti rimaneva sempre alta ed ossessiva,35 ciononostante non si verificarono più arresti in massa o processi alle opinioni simili a quello di Casale Monferrato. L’8 aprile del 1901, si tenne a Carrara un’assemblea anarchica, presieduta da certo G. Manenti, nel corso della quale venne approvato un documento in cui, dopo aver 34 L’Eco del Carrione, Supplemento straordinario cit., n. 56. Durante la sua arringa difensiva, nell’esaminare l’art. 248 del Codice Penale, Micheloni affermò che «l’anarchia per sè stessa non costituisce delinquenza» e, proseguendo, si domandò «perchè tanti dotti e scienziati, menti superiori, professano idee anarchiche? Ed all’avv. Gori non hanno qui stesa la mano ed il presidente, ed il P.M.? Non è dunque implicito nell’anarchia il concetto della delinquenza. […] Ecco perchè si stringe la mano sinceramente all’anarchico». 35 A tal riguardo, si veda la Relazione del Comandante delle Guardie di Città di Carrara all’Ispettore di P.S. di Carrara del 26 marzo 1900, in A.S.M., Commissariato di P.S. di Carrara, b. 21, in cui vengono minuziosamente descritti i pedinamenti svolti nei confronti di diversi esponenti anarchici, con risvolti anche umoristici quando, ad esempio, si precisa che un gruppo di questi «dopo di aver conversato tra loro, dissero che andavano a mangiare un galletto e si diressero verso la Piazzetta delle Erbe», oppure la Nota del Brigadiere delle guardie di Città di Carrara all’Ispettore di P.S. di Carrara del 27 giugno 1900, in A.S.M., ibidem, in cui viene riferito che «nei vicini boschi di castagni della frazione di Bedizzano si riuniscono una moltitudine di anarchici e socialisti nei giorni di Domenica e Lunedì nelle ore pomeridiane di ogni settimana». affermato «essere dovere imprescindibile di tutti i compagni coscienti e leali di riprendere con maggior vigore la frequentemente interrotta opera di propaganda, di preparazione e d’azione», si stabiliva: «1°) di rinsaldare la loro organizzazione decimata talora ma non mai vinta, nè doma, e di concorrere alla diffusione delle idee per mezzo della stampa e di periodiche conferenze ecc. costituendo: a) un fondo di propaganda per sovvenirle b) un fondo di soccorso per i perseguitati politici c) un fondo di riserva per gl’imprevisti bisogni 2°) di partecipare con attività ed energia alle feconde lotte del proletariato riunito nelle Leghe di resistenza e nelle Camere di Lavoro, per sospingerlo a conquistare i graduali miglioramenti economici che si credono possibili a difendere i comuni diritti, concorrendo intanto almeno a costituire l’esercito formidabile che solo potrà riuscire direttamente a trasformare le basi economiche della Società. 3°) di rinnovare l’unica valida agitazione popolare ed extra-parlamentare a favore di Augusto Fusani,36 l’innocente colpito dalle arbitrarie sentenze dei Tribunali Militari, dimostrate nulle ed inique dalla competente magistratura, per reclamarne la liberazione».37 In quello stesso mese di aprile, nel carrarese cominciarono a costituirsi le prime leghe di resistenza fra i lavoratori,38 ad opera sopratutto dei socialisti, oltre che degli anarchici e dei repubblicani, le quali diedero vita, nel maggio successivo, all’organismo di raccordo e di direzione del movimento operaio apuano: la Camera del Lavoro.39 Il 21 36 Il cavatore anarchico Fusani era l’ultimo dei condannati pei moti del 1894 che non era stato ancora rimesso in libertà. Condannato a 25 anni di reclusione per i fatti del ponte di Avenza, nel corso dei quali un dimostrante ed un carabiniere erano rimasti uccisi, era stato escluso dalle amnistie che si erano succedute. Venne più volte presentato, dalle forze popolari carraresi, come candidato protesta alle elezioni amministrative e provinciali, ottenendo sempre numerosi suffragi che gli consentirono di essere eletto ad ogni tornata, elezione che, ovviamente, veniva ogni volta regolarmente annullata. Anche alle elezioni politiche del giugno 1900, Fusani risultò vincitore, a discapito del liberale Cherubino Binelli, ed ancora tale elezione fu annullata. Solamente verso la fine del 1901 verrà amnistiato, ottenendo così la libertà e facendo ritorno a Carrara, dove continuò a svolgere il proprio mestiere di cavatore e mantenendo integerrima la sua fede nel socialismo anarchico anche nel periodo della dittatura fascista. Su Augusto Fusani, cfr. AA.VV., Dizionario biografico cit., vol. I, ad nomen, e L. Gestri, Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa-Carrara. Dall’Unità d’Italia all’età giolittiana, Firenze, Olschki Editore, 1976, ad nomen. 37 Copia manoscritta allegata alla Nota riservata del Prefetto di Massa all’Ispettore di P.S. di Carrara del 20 aprile 1901, in A.S.M., Commissariato di P.S. di Carrara, b. 21. Tale documento venne reso noto attraverso il periodico anarchico L’Agitazione di Ancona del 18 aprile 1901. 38 La Lega di resistenza e di miglioramento fra gli operai cavatori lavoranti in Carrara, fu costituita il 10 aprile 1901 (cfr. il Rapporto dell’Ispettore di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa dell’11 aprile 1901, in A.S.M., Commissariato di P.S. di Carrara, b. 21). 39 Cfr. L. Gestri, Capitalismo e classe operaia cit., p. 240 e ss. luglio veniva quindi eletta la prima Commissione Esecutiva della C.d.L., in cui erano presenti accanto ai socialisti Giovanni Giansoldati, Dario Dolfi, Tommaso Intaschi, i repubblicani Pietro Raffo ed Enrico Vatteroni, e gli anarchici Virginio Triscornia e Giovanni De Santi. Iniziavano così le prime grandi lotte operaie: la prima vertenza, apertasi nell’estate, riguardò i lizzatori, ed ebbe esito parzialmente favorevole; quindi fu la volta dei lavoratori ai pontili, il cui sciopero ebbe esito negativo. Infine vi fu la vertenza dei segatori, che fu risolta nel dicembre del 1901 con un accordo fra le parti che prevedeva minimi salariali uniformi nella misura di L. 2,60 per gli operai addetti alle segherie e L. 3 per quelli addetti ai piazzali.40 Di maggior rilievo l’agitazione dei cavatori, già iniziatasi nell’agosto 1901 e poi sospesa per il sopraggiungere dell’inverno, che, ripresa nella primavera del 1902, portò alla proclamazione dello sciopero generale di categoria e si concluse con la vittoria dei lavoratori, i quali riuscirono a conquistare il primo contratto collettivo che prevedeva notevoli miglioramenti economici e normativi: riduzione dell’orario di lavoro dalle 8 ore giornaliere alle 7.30, conteggiate quest’ultime dalla partenza dal poggio; aumenti salariali oscillanti tra il 25 ed il 50 per cento rispetto ai precedenti livelli; accordo per l’istituzione di un Collegio dei Probiviri, della Cassa Pensioni e degli 8/10 di salario agli operai colpiti da infortunio.41 Alla fine del 1901, la C.d.L. poteva già contare su circa 8.000 affiliati, organizzati nelle 23 leghe di resistenza di Carrara, Massa e Versilia, ponendosi quindi al sesto posto per forza numerica tra le 51 Camere del Lavoro presenti al IV Congresso della Resistenza, preceduta solo da quelle di Milano, Genova, Bologna, Parma e Napoli.42 Nel gennaio del 1902, si tennero nuovamente le elezioni per la costituzione della Commissione Esecutiva, in quanto quella precedente aveva rassegnato le dimissioni in seguito ai contrasti avutisi tra anarchci e repubblicani da un lato e socialisti dall’altro sui metodi di conduzione dell’agitazione promossa dai cavatori per ottenere dei miglioramenti economici e sulla mancata proclamazione dello sciopero generale di tutte le categorie in appoggio alla vertenza portata avanti dalla Cooperativa degli incassatori del marmo contro quelle ditte che si erano rifiutate di accogliere le loro richieste. In queste elezioni si impose nettamente la lista presentata dagli anarchici e dai repubblicani, i quali si aggiudicarono tutti i 18 posti della Commissione Esecutiva, e a segretario della C.d.L. veniva quindi eletto l’anarchico Enrico Petri.43 40 Cfr. L. Gestri, La camera del Lavoro dalla sua nascita alla Grande Guerra, in Camera del Lavoro, Sindacato e lotte operaie nel territorio Apuano (1901-1996), Pisa, Sophia Media, 1996, p. 13. 41 Cfr. L. Gestri, ibidem, pp. 13-14, e L. Gestri, Capitalismo e classe operaia cit., pp. 267-271. 42 Cfr. L. Gestri, Capitalismo e classe operaia cit., p. 244. 43 Sull’empolese Enrico Petri, stabilitosi a Carrara a partire dall’ottobre del 1901, cfr. AA.VV., Dizionario biografico cit., vol. II, pp. 334-335. Sulla composizione della C.E. della C.d.L. scaturita dalle elezioni del 5 gennaio 1902, di cui facevano parte, tra gli altri, gli anarchici Ugo Del Papa, Virginio Triscornia, Giovanni De Santi e Casimiro Marchetti, e i repubblicani Pietro Raffo, Attilio Sarzanetti, Aristotile Ambrosini ed Egidio Conti, cfr. la Nota del Capitano dei Carabinieri di Massa al 4. Le conferenze goriane della primavera-estate del 1902. Nello stesso mese di gennaio, proveniente dall’Argentina ritornava in Italia, agevolato da un’amnistia, l’avvocato Pietro Gori.44 Il suo rientro in patria suscitò un notevole entusiasmo tra gli anarchici, i quali lo invitarono a compiere un lungo giro di conferenze attraverso l’intera penisola. La Camera del Lavoro di Carrara organizzò due conferenze a pagamento presso il Politeama Verdi per le giornate dell’8 e 9 giugno, il cui ricavato doveva servire a sovvenzionare l’organizzazione operaia apuana. Queste conferenze avevano come tema rispettivamente «I diritti del pensiero e del lavoro» e «Verso le ultime terre sud americane. Impressioni e ricordi di un viaggio illustrati da 200 proiezioni luminose».45 Essendo Gori, fin dal suo rientro in Italia, posto sotto stretta sorveglianza da parte dell’autorità tutoria, il che dopo alcuni mesi «destò la nausea anche nei suoi più accaniti avversari, tanto che Giolitti di fronte agli attacchi di molti giornali, ed alla minaccia d’interpellanze alla Camera fatte dagli on.li Bovio e Pellegrini, dovè ritirare i suoi agenti dall’odioso pedinaggio»,46 riportiamo qui di seguito le relazioni stilate all’epoca dal Commissario di P.S. di Carrara relative a tali giornate, risultando le stesse abbastanza interessanti sia dal punto di vista descrittivo che per la presenza di alcune singolari considerazioni. «[Pietro Gori] col diretto delle ore 15,52 [dell’8 giugno] giunse da Pisa ad Avenza ove era aspettato dai noti Petri Enrico, Ravenna Ernesto, Del Papa Corrado, mentre da Pisa era accompagnato da Del Papa Ugo che colà erasi portato fin dalla mattina e Crociatelli Giovanni di Pisa. Costoro tutti, in tre vetture da piazza, proseguirono per Carrara. Vi Prefetto di Massa del 10 gennaio 1902, in A.S.M., Commissariato di P.S. di Carrara, b. 21. 44 Nel maggio del 1898, a causa delle azioni repressive del governo susseguenti ai cosiddetti moti del pane, Gori era stato costretto ancora una volta ad emigrare. Raggiunta Marsiglia, si imbarcava per l’America del Sud, mentre le autorità italiane lo condannavano a 12 anni di galera quale ispiratore, tramite i suoi discorsi e scritti, delle agitazioni popolari contro il carovita verificatesi a Milano. Stabilitosi in Argentina, Gori si dedicò all’organizzazione operaia nonchè a quella degli anarchici, tenne una lunga serie di conferenze politiche e culturali davanti ad ogni tipo di pubblico, e lavorò come avvocato, giurista, criminologo, studioso e, occasionalmente, come docente universitario. Nel novembre del 1898 pubblicava, dirigendola e coordinandola, la rivista Criminalogia moderna, sulle cui pagine espose la sua teoria “ambientale” del delitto accanto a contributi di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, Adolfo Zerboglio, Napoleone Colajanni. Nel 1901, per incarico della Società Scientifica Argentina, compiva una lunga missione di esplorazione prima per i mari e le terre dell’estremo australe, fino alla Terra del Fuoco, poi attraverso il fiume Paranà, giungendo sino alle sue sorgenti. Nel gennaio 1902, lasciava quindi l’Argentina, dopo una memorabile conferenza, tenuta a Buenos Aires, che rimase a lungo impressa nella memoria degli intervenuti. 45 Cfr. i relativi Manifesti e Volantini annuncianti le conferenze, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 54, fascicolo Gori Pietro. 46 Pasquale Binazzi, La morte di Pietro Gori, in Il Libertario del 12 gennaio 1911. giunsero poco prima delle 17 e, dopo una visita alla Camera del Lavoro, il Gori, accompagnato sempre dai predetti, portossi al Politeama Verdi, ove arrivò alle 17,30 ed alla presenza di oltre duemila persone, in maggioranza operai, presentato dal Petri Enrico, imprese a svolgere il tema annunziato, dopo di essere stato salutato da un ben nutrito applauso al semplice apparire. Il Gori, con forma invero forbita e senza mai indugiarsi, parlò per un’ora e mezzo, cercando di dimostrare con dati storici e concetti filosofici non essere possibile la restrizione del pensiero come non essere giusto che i lavoratori del braccio siano compensati magramente, mentre che per essi l’umanità ha il benessere materiale e da essi parecchi uomini godono di quegli agi negati ai più. Fece rilevare come i lavoratori del braccio e quelli del cervello si confondano nello stesso fine, cioè di migliorare le proprie condizioni economiche, le quali, se attualmente in minima parte per loro andarono migliorando, molto e molto ancora occorrerà che essi conseguano. In ultimo toccò, senza pronunciarsi apertamente, gli scopi del suo partito, che, disse, rifugge dalle violenze, che è stato chiamato il partito dell’utopia; tuttavia, soggiunse, pur che fosse così perchè comprimerne la propaganda e tutto ciò che, lecitamente, si propongono se poi è creduto di impossibile attuazione? Toccò anche il punto che essi son chiamati i senza patria, dicendo che hanno pianta la patria lontana, pei ricordi che vi lasciavano, per le persecuzioni patite, per il volontario esilio cui erano obbligati, tuttavia essi intendono la patria tutto il mondo con l’affratellamento di tutti i popoli, come tanti secoli fa ebbe a predicare Gesù. E qui finì con pochi versi inspirati al conseguimento di quell’affetto fraterno fra l’umanità, per far cessare l’odio causa spesso di mali che affliggono gli uomini. La chiusa fu coronata da generale applauso. Fu notata la facondia dell’oratore, la correttezza nel non urtare la suscettibilità degli altri partiti, dirigendosi egli nelle sue disquisizioni agli amici ed agli avversari. L’uditorio era formato buona parte anche di persone colte, relativamente a Carrara, e del partito monarchico, come del socialista e nessuno, anche privatamente, ebbe a lamentarsi menomamente del contegno e degli argomenti del conferenziere. In ultimo il Petri ringraziò, a nome della Camera del Lavoro, sia il Gori che il numeroso pubblico accorso ad ascoltarlo, perchè la conferenza era a pagamento, invitando se mai vi fosse qualcuno del pubblico che volesse confutare le idee esposte dall’oratore, ma nessuno si mosse. Poco dopo le 19 la riunione si sciolse ordinatamente, senza dare luogo al più piccolo incidente. Il Gori ieri sera fu a pranzo presso il Sindaco professor Biggi ed in casa sua ha alloggiato. Circa questo atto di ospitalità affermasi che il professor Biggi conosceva già il Gori quando fu nella Repubblica Argentina e colà pare che costui pubblicasse per un giornale un articolo elogiante un lavoro artistico del Biggi.47 Del resto la deferenza di questi verso il Gori può 47 Si tratta, con ogni probabilità, del monumento in marmo di Carrara a Giuseppe Garibaldi, attualmente collocato nel Parco dell’Indipendenza della città di Rosario in Argentina. Tale opera fu commissionata dalla loggia massonica di Rosario e venne realizzata nel 1885 dal Biggi, il quale era anch’egli un aderente alla massoneria, tant’è che risultò essere il principale fautore della ricostituzione, avvenuta il 24 giugno del 1900, della Loggia di Fantiscritti (cfr. lo Stato descrittivo della Loggia massonica di Fantiscritti compilato dal Comandante dei R. Carabinieri di Massa, datato 15 luglio 1900 , in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 11). Inaugurato ufficialmente l’8 ottobre del 1898, il monumento a Garibaldi fu posto all’esterno dell’edificio sede della Loggia massonica Union 17, in calle Laprida 1029, a Rosario. Nel 1906 venne donato alla comunità italiana per decorare riscontrarsi anche nell’accordo manifesto che qui ed altrove vige tra [il partito] repubblicano ed anarchici».48 «Questo Politeama Verdi, presentava ieri sera [9 giugno] un’accolta di persone, per numero e qualità, come negli spettacoli più solenni. Moltissime signore sui palchi e nella platea, e stipate di gente erano le gallerie. Intervenne anche il Sindaco con la propria famiglia che ospita il Gori e la madre di lui venuta da costà, ove trovavasi presso il Segretario di cotesto comune Sig. Santini. Alle ore 21,40 il Gori, in abito da società, presentossi al pubblico che lo accolse con un nutrito battimano. Egli, dopo breve esordio, accennante alla riconoscenza verso Carrara che tanto benevolmente lo aveva accolto, disse con manifesta ironia che principali ringraziamenti debbonsi fare a coloro che, obbligandolo al volontario esilio, gli avevano procurata l’opportunità di eseguire quei viaggi su cui si proponeva intrattenere il pubblico, illustrandoli con proiezioni fotografiche, rilevate in quei luoghi. Il conferenziere, meno che per dieci minuti di riposo, parlò per due ore di filato intorno al suo viaggio, partendo dalla capitale della Repubblica Argentina e percorrendo i mari del Sud America su d’un vapore, il “Guardia National”, della marina da guerra di quello Stato, descrisse con forma elegante, vivace, facendo proprio sfoggio di una facondia non comune, quei luoghi lontani percorsi ora su battelli, ora in ferrovia, ora a piedi, illustrando città, mari, monti per terminare la sua conferenza con una ascensione sulla Cordigliera, con ghiacci, alta oltre 4000 metri dal livello del mare. Fu varie volte applaudito ed in fine ebbe proprio un’ovazione, quando volle sinteticamenti riepilogare il concetto di tale conferenza che disse essere quello per dimostrare che tante terre sono tuttavia disabitate o con colonie barbare, ove la civiltà dei vecchi paesi dovrebbe volgere lo sguardo, asserendo che ciò potrà avverarsi quando l’affratellamento dei popoli sarà, non lontanamente, un fatto compiuto. Il Gori pure in questa conferenza fece ripetute volte sorvolando risaltare la sua persona, or per conferenze, o lezioni di diritto tenute nelle principali città del Sud America, or lodando l’ospitalità generosa trovata laggiù, mentre, disse, il suo paese nativo gli aveva chiuse le porte alle spalle. Alle 23,40 il teatro si sfollò senza il menomo inconveniente, ed il Gori, la Piazza Italia, sita all’interno del Parco dell’Indipendenza. Si trattava di un gruppo scultoreo composto da una colonna sulla cui cima campeggiava la figura di un giovane Garibaldi che con il braccio destro proteso incita ad avanzare mentre la mano sinistra stringe una spada. Alla base della colonna vi era invece la figura di un giovane indossante una camicia lacera che simboleggiava il combattente garibaldino. Nel corso degli anni il monumento subì diversi e gravi danneggiamenti, tra cui nel 1984 un attentato dinamitardo che ridusse in mille pezzi la figura del giovane garibaldino. Nel 2007, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario della nascita dell’eroe dei due mondi, il Municipio di Rosario ha deciso di intraprendere il restauro e la ricostruzione dell’opera di Biggi, grazie anche al contributo di alcune regioni, comuni e associazioni culturali italiane. Per le notizie relative al monumento a Garibaldi, cfr. http://mundomasonico.blogspot.com/2007/11/monumentogaribaldi. html. Il repubblicano Alessandro Biggi (1848-1926) divenne sindaco di Carrara il 5 dicembre 1899 e ricoprì tale carica fino al maggio del 1903. Per una biografia artistica di Biggi, cfr. AA.VV., Scultura a Carrara. Ottocento, Edizioni Bolis, Bergamo, 1993, pp. 287-288, mentre per la sua attività politica, cfr. L. Gestri, Capitalismo e classe operaia cit., ad nomen. 48 Relazione del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 9 giugno 1902, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 54, fascicolo Gori Pietro. accompagnato dallo stesso Sindaco, si ritirò per dormire».49 Oltre alle suddette conferenze, Gori in quelle stesse giornate in cui stette a Carrara, ne tenne delle altre. Il pomeriggio del 9 giugno si recava, assieme a sette compagni, fra cui Enrico Petri ed Ugo Del Papa, a Bedizzano dove, presso il Circolo socialista sito in Piazza Umberto I, parlò, di fronte ad un centinaio di persone, sulla «[…] organizzazione operaia, raccomandando l’unione e la solidarietà, che sole potranno dare seri e duraturi miglioramenti alla classe lavoratrice».50 Nei due giorni seguenti, Gori effettuava delle escursioni alle cave di marmo, scattando varie fotografie dei luoghi e dei paesi visitati, e si recava a Pietrasanta assieme ad Enrico Petri.51 Il pomeriggio del 12, di fronte a circa 250 persone, in Piazza S. Vittorio a Forno, trattò il tema dell’organizzazione economica, esordendo «[…] coll’inviare un caldo saluto a quei lavoratori ai quali dimostrò la necessità d’una compatta organizzazione, unica fonte della loro futura ricchezza, che non consista già nel possedere dei milioni, ma nel conseguire quel benessere sociale, da lungo tempo desiderato dall’umanità, ma non ancora raggiunto. E qui accennò alle cause che ostacolano più che ogni altro il conseguimento di questo fine e che si riscontrano appunto nelle passioni egoistiche dell’uomo, e che sono conseguenza legittima della sua natura stessa, qualunque sia il grado di cultura e qualunque sia il posto da esso occupato nella società. Raccomandò perciò anche l’educazione morale dei figli, soggiungendo che in questo modo soltanto si possono mitigare le tendenze cattive. Dimostrò poscia che la maggior parte di queste ricchezze vengono prodotte dall’operaio stesso, poichè se questi non lavorasse certo le case non potrebbero zampillare, nè i ponti sorgere sopra i fiumi, nè i treni attraversare quasi miracolosamente immense pianure, e che quindi se c’è quello che muore d’indigestione è giusto anche che il povero lavoratore non si cibi [solo] di erbe come una bestia».52 Alla sera di quello stesso giorno, al teatro comunale Guglielmi di Massa, svolse una conferenza dal titolo «Attraverso il tropico sud-americano. Relazione di un viaggio dal Rio Paranà all’Alto Paraguai», con la proiezione di 200 immagini luminose.53 Infine, la sera del 13 giugno a Torano, nella casa di tale Pellegrino Zapponi, tenne una conferenza 49 Relazione n. 221.21 del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 10 giugno 1902, in A.S.M., ibidem. 50 Relazione n. 431.21 del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 10 giugno 1902, in A.S.M., ibidem. 51 Cfr. la Relazione n. 221.21 cit., e il Telegramma del Delegato di P.S. di Pietrasanta ai Commissari di P.S. di Carrara e Massa del 10 giugno 1902, ore 23,20, in A.S.M., ibidem. 52 Relazione del Delegato di P.S. al Commissario di P.S. di Massa del 13 giugno 1902, in A.S.M., ibidem. 53 L’intero programma venne riportato su un manifestino annunciante tale conferenza, ora conservato in A.S.M., ibidem. privata, a cui parteciparono circa 100 persone. Nel corso di questa, Gori fece «[…] la sintesi dei diritti e doveri dell’uomo, il quale […] avendo il cervello per comprendere, il cuore per sentire e le braccia per lavorare, non ha bisogno di un oratore qualunque per formarsi una idea dei suoi diritti e doveri. Parlando dei partiti repubblicano, socialista ed anarchico, osservò che il primo non è altro che una monarchia mascherata, che il collettivismo sembravagli di difficile attuazione e che il solo partito anarchico potrà ottenere buoni risultati quando gli uomini avranno raggiunto un certo grado di educazione morale e d’istruzione, poichè allora soltanto saranno disciplinati e quindi rifuggiranno da atti inconsulti e da pazze imprese. Accennò inoltre allo sviluppo della meccanica ed alle invenzioni che si vanno facendo in seguito alla scoperta del vapore e dell’elettricità, invenzioni che ridurranno sempre più la mano d’opera, aumentando invece la disoccupazione, come si è visto negli Stati Uniti d’America ed in altre regioni. Concluse augurandosi che venga presto il giorno in cui tutti dovranno lavorare e scompaia la classe dei parassiti che oggidì vive nell’agiatezza, sfruttando la mano d’opera».54 Il 14 giugno, col treno delle ore 15:52, Gori, assieme alla propria madre, lasciava Carrara diretto a La Spezia.55 Alla fine di agosto, Gori, richiamato dalla C.d.L. e dagli anarchici, ritornava a Carrara per tenervi altre due conferenze. Il 30, alle ore 21, presso il Politeama Verdi, sempre col supporto di 200 proiezioni luminose, ad un uditorio di circa 2000 persone descrisse «[…] il viaggio compiuto insieme col poeta dialettale romano Pascarella dal Rio Paranà all’alto Paraguai, rilevando infelicità e miserie di quelle popolazioni e stigmatizzando la condotta di quelle classi dirigenti che chiamò vere sfruttatrici dei lavoratori».56 Colse anche l’occasione per rivolgere «[…] parole di sprezzo verso coloro che [attribuivano] scopi diversi alle sue conferenze, ritenendo che egli [fosse] un prezzolato dei governi americani, per stimolare l’emigrazione [verso] quei paesi»,57 e concluse il suo discorso augurando alle popolazioni indigene dei luoghi visitati un pronto riscatto e tempi migliori. Il giorno seguente, alle ore 10:30, nel cortile del Palazzo Pisani di Via Alberica, di fronte a circa 1000 persone, svolse il tema «Gli anarchici sono socialisti?».58 In tale 54 Relazione del Capitano dei R. Carabinieri di Massa al Prefetto di Massa del 15 giugno 1902, in A.S.M., ibidem. 55 Cfr. il Fonogramma del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 14 giugno 1902, in A.S.M., ibidem. In occasione delle due conferenze tenute al Politeama Verdi di Carrara l’8 e il 9 giugno, vennero stampate delle cartoline ricordo in cui campeggiava una foto di Pietro Gori e il testo della poesia Esilio!, dedicata alla madre lontana, composta dallo stesso Gori nel 1895 quando si era imbarcato come marinaio, per circa due mesi, su di un piroscafo che batteva le rotte dei mari del Nord Europa. Un esemplare di queste cartoline ricordo è conservato in A.S.M., ibidem. 56 Relazione del Prefetto di Massa al Ministero dell’Interno del 2 settembre 1902, in A.S.M., ibidem. 57 Ibidem. 58 Di una conferenza simile, tenuta a Roma presso la sede della Lega di resistenza dei pittori il 6 maggio conferenza, Gori, introdotto dal segretario camerale Enrico Petri, fece «[…] un confronto fra il programma anarchico e quello socialista, asserendo che pur mirando entrambi allo stesso scopo e cioè alla emancipazione del proletariato, capovolgendo le basi della società colla fusione della ricchezza sociale, adoperano mezzi differenti inquantochè i primi tendono al conseguimento del fine coll’azione diretta dal popolo, mentre i secondi colla conquista dei pubblici poteri. Qui anzi si intrattenne confutando il mezzo adoperato dai socialisti che disse è solo consigliato dall’ambizione nella speranza di poter conquistare un posto a Montecitorio e magari al Ministero. Da ultimo invitò gli avversari ad un contraddittorio, ma nessuno degli astanti si presentò».59 5. La lapide ai martiri del lavoro di Piazza Alberica. All’indomani del giro di conferenze goriane del giugno, all’interno della C.d.L. di Carrara cominciò a prender forma l’idea di organizzare una giornata di festa dedicata alla locale organizzazione operaia, incentrata sull’inaugurazione del vessillo camerale e di quello del Comitato Regionale dei cavatori e sull’apposizione, in una piazza cittadina, di una lapide in marmo in onore ai martiri del lavoro. Il 6 luglio, il segretario della C.d.L. Enrico Petri, a nome della Commissione Esecutiva, presentava al Municipio di Carrara un’istanza per ottenere il permesso di collocare la suddetta lapide «o sulla facciata del Palazzo Comunale o in quello della Regia Accademia di Belle Arti in Piazza Mazzini».60 Nella seduta dell’11 luglio, la giunta municipale deliberava «d’invitare la Camera del Lavoro a completare la domanda colla produzione del disegno della lapide da sottoporsi alla Commissione Edilizia a termini di regolamento».61 L’organizzazione operaia si affrettò dunque ad approntare il disegno della lapide, che venne allegato ad una nuova istanza presentata dal segretario camerale Petri alla giunta municipale in data 5 settembre.62 In tale domanda, veniva anche resa nota l’epigrafe da scolpirsi sulla lapide. Le parole, dettate da Pietro Gori ai compagni apuani in occasione della sua venuta a Carrara per le già citate conferenze del 30 e 31 agosto, erano le seguenti: «O Marmo Sacro al Martirologio Operaio delle Valli Apuane / Trasmetti la Voce dei Lavoratori della Lunigiana / Ai Secoli che avranno per del 1902, ne venne fatto un opuscolo, stampato nel 1906 dalla Casa editrice libraria “Il Pensiero” di Roma. 59 Relazione del Prefetto di Massa al Ministero dell’Interno cit. 60 Istanza del Segretario della C.d.L. di Carrara al Sindaco di Carrara del 6 luglio 1902, in A.S.M., Archivio del Comune di Carrara, serie II, b. 449, fascicolo Monumenti, lapidi, scavi ed opere d’arte. 61 Ibidem. 62 Istanza del Segretario della C.d.L. di Carrara alla Giunta Comunale di Carrara del 5 settembre 1902, in A.S.M., Archivio del Comune di Carrara cit. Monumento / La Giustizia Sociale».63 Quello stesso 5 di settembre, si riuniva quindi la Giunta Comunale carrarese, sotto la presidenza del sindaco Alessandro Biggi ed alla presenza degli assessori Agostino Bocci, Andrea Del Medico e del supplente Archimede Frediani, che deliberava di «autorizzare il collocamento nella facciata esterna del Palazzo Municipale della lapide di cui trattasi».64 La data fissata dalla C.d.L. per l’inaugurazione dei vessilli operai e per lo scoprimento della lapide ai martiri del lavoro, risultò essere quella del 28 settembre. L’autorità tutoria apuana, avendo sentore dell’imponenza delle manifestazioni che si andavano preparando, predispose un massiccio servizio di vigilanza con l’utilizzo di numerosi agenti di P.S., carabinieri e guardie di città, sollecitata in tal senso anche dalle direttive emanate dal Ministero dell’Interno secondo le quali «stante l’ambiente speciale in cui tali cerimonie sono destinate a svolgersi e il concorso alle medesime di elementi sovversivi, in buona parte anarchici, [si raccomandava] di adottare tutte le disposizioni necessarie, affinchè la vigilanza riesca efficace e sia assicurata la integrità dell’ordine pubblico nonchè garantito il rigoroso rispetto alle Leggi ed alle Istituzioni».65 In una nota del 23 settembre, il Commissario di P.S. di Carrara avvertiva poi il Prefetto di Massa che la lapide ai martiri del lavoro sarebbe stata collocata non più sulla facciata del Palazzo Comunale in Piazza Mazzini, come era stato stabilito, bensì sulla «facciata esterna, verso Piazza Alberica, del palazzo ove risiede la Pretura, di proprietà Municipale».66 Il 28 settembre 1902, si svolse quindi la cosiddetta festa del lavoro organizzata dalla C.d.L. carrarese. Per la descrizione di tale giornata, riportiamo qui di seguito ampi brani tratti dalle relazioni stilate allora dalle locali autorità tutorie. «Seguendo il programma stabilito, alle ore 9, dopo i soliti ricevimenti delle associazioni, si è formato il corteo in via Apuana, del quale facevano parte circa 30 leghe di resistenza con 3000 operai, 12 bandiere e due musiche,67 precedute dal gonfalone municipale e dal concerto cittadino, essendo intervenuto ufficialmente, con alcuni consiglieri socialisti,68 il sindaco repubblicano prof. Biggi Alessandro. Percorrendo quindi le vie principali della città,69 il corteo giunse in piazza Farini, gremita di popolo, ove, in un palco eretto per la circostanza, presero posto il Comitato pei festeggiamenti e gli oratori Petri Enrico, 63 Ibidem. 64 Deliberazione della Giunta Municipale di Carrara del 5 settembre 1902, in A.S.M., ibidem. 65 Nota Riservata del Ministero dell’Interno al Prefetto di Massa del 21 settembre 1902, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 11. 66 Nota urgentissima del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 23 settembre 1902, in A.S.M., ibidem. 67 Si trattava delle bande musicali di Avenza e di Forno. 68 Carlo Alberto Sarteschi e Vico Fiaschi. Parteciparono al corteo anche il segretario comunale Luigi Bergamini e il repubblicano Pietro Raffo (cfr. la Relazione del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 29 settembre 1902, in A.S.M., ibidem). 69 Il corteo percorse via Apuana, piazza Alberica, via Alberica, via Verdi e via Cavour. anarchico, l’avvocato, pure anarchico, Giardini Augusto, di Ancona, il repubblicano Eugenio Chiesa, di Milano, ed il socialista prof. Antonio Piccarolo, di Torino.70 Il Petri portò il saluto dei lavoratori della Lunigiana e dei molti sodalizi che aderirono alla festa del lavoro, la cui importanza egli disse segna una pagina gloriosa nella storia dell’operaio, il quale se finora ha seguito, chinando la fronte, in atteggiamento di schiavo, il carro dell’ignoranza e dello sfruttamento, ha oggi compreso il dovere dell’organizzazione e sa trovare il tempo per la conquista del benessere morale e materiale. Parlarono quindi gli altri conferenzieri sulla istituzione e funzionamento delle camere di lavoro, sulla quistione economica dell’operaio e sulla necessità di una salda organizzazione per imporsi al capitalismo, riscuotendo frequenti applausi. Il Chiesa disse pure che il Governo, mentre sperpera tanti milioni per l’esercito e per la marina, nulla ha fatto sinora per la classe lavoratrice, ed egli si augura di veder presto compiuto, colla giustizia e col civile progresso, l’ideale di quei grandi che sognarono una repubblica forte, cosciente e civilizzatrice».71 «Alle 11,30 la cerimonia terminò e con lo stesso ordine la Leghe ritornarono alla Camera del Lavoro ove deposero i vessilli. Alle 15,30 fuvvi la cerimonia dello scoprimento della nota lapide in piazza Alberica, apposta al palazzo Pisani, sede della Pretura, proprietà comunale. Le stesse Leghe in corteo si portarono nella piazza precedute dalla banda cittadina. Si attaccarono intorno alla lapide ben venti corone. Nella piazza [vi] era una folla di oltre diecimila persone. Da una terrazza del circolo artistico di contro il detto palazzo, presero posto gli oratori, i medesimi del mattino ai quali si aggiunse il noto anarchico avv. Gori. Il Petri disse poche parole sul concetto della lapide, ricordando che il testo di essa fu dettato dal Gori e ringraziando il Sig. Enrico Salvini che donò il marmo, e ne fece consegna al Sindaco».72 Questi ringraziò e «disse che, come l’Italia erige monumenti ai benemeriti della patria, Carrara non volle fossero obliati coloro che nella lotta diuturna e pel bene comune, trovarono improvvisa la morte. Prese quindi la parola l’anarchico Pietro Gori. Egli onorò quei martiri oscuri, che lavorando sulle Alpi Apuane per guadagnarsi il pane, vengono ridiscesi a brandelli. Questi eroi della vita, disse egli, giacciono là dimenticati, nessun mesto ricordo fu innalzato a queste vittime, che diedero le proprie energie per arricchire la borsa dei signori, e che bagnarono del loro sangue il marmo, che pur servì ad innalzare tanti paracarri ingombranti le vie e le piazze, e sui quali posano figure più o meno piumate, con la scimitarra in pugno, in atto di strage. Di questi veri cavalieri del lavoro, 70 Sul palco vennero issate le bandiere da inaugurarsi: quelle della Camera del Lavoro di Carrara e del Comitato Regionale dei Cavatori (cfr. la Relazione del Commissario di P.S. cit.). Su Augusto Giardini, cfr. AA.VV., Dizionario biografico degli anarchici cit., vol. I, pp. 711-713; su Eugenio Chiesa, cfr. F. Andreucci – T. Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Ed. Riuniti, Roma, 1976, vol. I, ad nomen; su Antonio Piccarolo, cfr. L. Gestri, Capitalismo e classe operaia cit., pp. 288-289. 71 Relazione del Capitano dei R. Carabinieri di Massa al Prefetto di Massa del 30 settembre 1902, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 11. 72 Relazione del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 29 settembre 1902, in A.S.M., ibidem. obliati dalla giustizia umana, aggiunse il Gori, nulla è rimasto, tranne il dolore della vedova e degli orfani. Accennando poi ai fatti di Candela,73 il Gori si scagliò contro la forza brutale delle armi,74 non più eccidi, non più stragi, egli disse, chiniamoci, e pur voi, Carabinieri e Guardie di Polizia, figli di proletari, inchinatevi dinnanzi a questo marmo, sacro al martirologio operaio delle Valli Apuane, che trasmette la voce dei cavatori di Carrara, ai secoli che avranno per monumento la giustizia sociale. Il discorso fu interrotto spesso da calorosi applausi ed in tal senso parlarono pure il Chiesa ed il Piccarolo senza dar luogo ad inconvenienti».75 Dichiarata finita la cerimonia, da parte del segretario camerale Petri, l’assembramento si scioglieva ordinatamente, mentre molti si recavano nei rinnovati locali della Camera del Lavoro, siti in via Grazzano. Alla sera, presso il Politeama Verdi, si tenne un intrattenimento danzante, che si protrasse fino a notte fonda.76 Alle 9 del mattino del giorno seguente, Gori lasciava la città del marmo, diretto a Pisa, mentre nel pomeriggio la Federazione Socialista Anarchica di Carrara teneva un’adunanza nelle campagne circostanti. Partiti in corteo, composto da circa 300 persone, dalla propria sede di via Potrignano, gli anarchici si portarono, attraversando piazza Alberica e Corso Vittorio Emanuele, nei pressi del tiro a segno, poco fuori dalla città, fermandosi in una spianata. Qui, dopo una frugale merenda, furono pronunciati brevi discorsi da parte di «[…] Del Papa Ugo che lesse una lettera del Gori spiacente di non trovarsi fra loro, Petri Enrico, Giardini avv. Augusto, Binazzi Pasquale, Ceccarelli Aristide e Palla Galileo, tutti improntati a fraterna reciprocanza di idee […]. In ultimo anche la moglie del Binazzi, venuta qui ieri da Spezia col marito, volle dare il saluto ai compagni di fede».77 Rientrarono quindi in città, attraversando le vie Roma e Alberica, fino alla propria sede. Interessante, infine, il commento conclusivo espresso dall’autorità tutoria preposta alla vigilanza di questa iniziativa: «Il passaggio di tale corteo non diede 73 L’8 settembre 1902, a Candela (Foggia), una agitazione contadina contro il fiscalismo e gli abusi amministrativi venne sanguinosamente repressa dalle locali autorità tutorie. L’eccidio provocò 8 morti, numerosi feriti e più di cento arresti. Il brigadiere dei Reali Carabinieri, tale Centani, che diresse la carneficina, o che comunque non seppe evitarla, sarà premiato dal Governo Giolitti con una medaglia d’onore e trasferito ad Ancona. Sui fatti di Candela, cfr. M. Pistillo, L’eccidio di Candela. 8 settembre 1902, Amministrazione Comunale, Candela, 1974. 74 Gori, osservando lo sproporzionato numero di agenti di polizia e carabinieri presenti a Carrara in occasione di tale cerimonia, affermava, tra l’altro, che la città gli sembrava essere stata posta sotto «un piccolo stato d’assedio» (cfr. la Relazione del Commissario di P.S. di Carrara cit.) 75 Relazione del Capitano dei R. Carabinieri di Massa cit. Nella Relazione redatta dal Commissario di P.S. di Carrara cit., viene annotato che tutti gli oratori «furono applauditi, ma più calorosamente il Gori». 76 Cfr. la Relazione del Commissario di P.S. del 23 settembre 1902 cit. 77 Relazione del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 29 settembre 1902, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 11. Su Ugo Del Papa, Pasquale Binazzi, Aristide Ceccarelli e Galileo Palla, cfr. AA.VV., Dizionario biografico degli anarchici cit., voll. I-II, ad nomen. luogo ad alcuna impressione in città, abituati come si è ormai a vederne tutti i giorni, soltanto qualcuno si domandava quale associazione fosse».78 6. Gori e Arturo Dazzi. Il 24 novembre 1902, Pietro Gori tornava a Carrara, chiamato dagli anarchici locali, per tenervi una conferenza in ricordo dello scrittore francese Emile Zola, da poco scomparso.79 Al Politeama Verdi, di fronte ad oltre 2000 persone, «[…] Gori parlò per due ore e mezzo tratteggiando la figura del Zola come indagatore sociale che aveva messo a nudo [i] difetti di ogni classe del popolo, suffragando le sue argomentazioni dalla critica delle diverse opere dello scrittore defunto. In vari punti il Gori riscosse unanimi applausi, appalesandosi scrittore provetto dei romanzi Zoliani. Alla fine una piena ovazione accolse la chiusa dell’orazione».80 Essendo sorta l’idea di realizzare un busto in marmo, gli anarchici carraresi accompagnarono Gori dal giovane artista Arturo Dazzi, affinchè quest’ultimo abbozzasse l’effige dello scrittore francese.81 «Il Gori scrutò col suo sguardo penetrante il giovanissimo scultore e nello spiegargli il suo concetto, dai movimenti, dall’espressione del volto di Dazzi, dal modo e dalla sveltezza colla quale eseguì il ritratto di Emilio Zola, scoperse in lui le qualità e le attitudini di un promettente artista, e seguendo le sue abitudini, lo lodò e incoraggiò a perseverare nell’arte. Si stabilì così fra i due una sincera amicizia. Gori godeva trasmettere nel Dazzi l’entusiasmo di cui vibrava il suo animo di poeta e di artista, che così bene sapeva far risaltare in tutta la loro affascinante bellezza le grandi idee di libertà e l’eroismo dei martiri assertori di giustizia. Il Dazzi curò e sviluppò la sua passione artistica, raccogliendo lungo le vie aspre e faticose dell’arte ben meritati allori, e il buon Pietro Gori seguitò in Italia la sua buona, ma perigliosa seminagione di pensiero libertario. S’incontrarono parecchie volte e in tutte quelle occasioni il Dazzi subiva il fascino del di lui poderoso intelletto che con semplicità e serenità mandava vividi bagliori che riscaldavano e infiammavano le menti di chi lo ascoltava».82 78 Ibidem. 79 Lo scrittore francese, nato nel 1840, era deceduto a Parigi, soffocato nella notte dalle esalazioni di una stufa, il 29 settembre del 1902. 80 Nota del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 25 novembre 1902, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 54. 81 Sul carrarese Arturo Dazzi (1881-1966), cfr. le note biografiche di Nicola Corradini in Arturo Dazzi. Il monumento a Guglielmo Marconi, Carrara, Cassa di Risparmio di Carrara, s.d., con una presentazione di Carlo Carrà. 82 Pasquale Binazzi, Arturo Dazzi e Pietro Gori, in Il Libertario del 27 novembre 1913. Negli anni Nel corso degli anni, Dazzi eseguì diversi ritratti di Gori, della sorella Bice e del padre Francesco,83 mentre Gori compose, nel 1904, Navigando innanzi alla Grecia, una poesia per le nozze del Dazzi.84 All’indomani della morte di Pietro Gori, avvenuta l’8 gennaio 1911 dopo lunga malattia, Dazzi scolpì un busto in marmo del compianto amico che donò alla Camera del Lavoro di Carrara, la quale lo utilizzò per la commemorazione che si tenne il 16 gennaio al Politeama Verdi. «Il teatro era affollatissimo. Nel palcoscenico era stato messo un busto dell’estinto circondato da grandi palme. Numerosissimi cittadini e molte associazioni parteciparono alla commemorazione. Alle 15,30 l’avv. Betti prende per primo la parola e concisamente, a grandi tratti, riproduce la bella figura di Pietro Gori, e ne enumera le persecuzioni patite e la propaganda fatta. Segue il compagno Gino Del Guasta che con poetica parola, ricorda quanto fece Gori per l’ideale anarchico, e ne piange la morte. Il repubblicano Starnuti rende omaggio all’estinto per il valore e il disinteresse dimostrato dal Gori nelle lotte politiche da lui sostenute senza nulla chiedere. Il Binazzi fa balzare più viva e vera la figura di Pietro Gori che definisce esuberante di sentimenti, ma pur ricco anche di profondo ingegno analitico, buon poeta dei miseri e anche buon fustigatore del tiranno. Pompeo Barbieri lo ricorda nei suoi sacrifici e nel suo amor figliale, e declama, spiegandola, la poesia Salpando. Tutti gli oratori furono frequentemente ed entusiasticamente applauditi. Fra le acclamazioni venne deliberato d’inviare il seguente telegramma: Bice Gori – Portoferraio. Cittadini carraresi adunati sollenne commemorazione Suo Pietro, rinnovano a lei, sua eroica infermiera, sentite condoglianze, confidando possano attenuare immenso dolore da tutti condiviso. Gli anarchici».85 Nel primo anniversario della morte di Gori, a Rosignano Marittimo si svolse una grande commemorazione durante la quale, alla presenza di oltre 5000 persone, venne scoperto un bassorilievo in marmo, posto davanti alla casa di Gori, opera dello scultore Bozzano, ed inaugurato il busto marmoreo, collocato nel vialetto fronteggiante la cappella mortuaria di famiglia del cimitero di Rosignano, che «i lavoratori apuani seguenti al 1902, Gori tornò più volte a Carrara, sia per tenervi delle conferenze sia come avvocato difensore di vari compagni nei processi intentati contro di loro per motivi politici, avendo così l’occasione di incontrarsi con l’amico Dazzi. L’8 febbraio del 1904, per esempio, Gori svolse, al Politeama Verdi, una conferenza su un viaggio da lui effettuato nel Mezzogiorno d’Italia, con l’ausilio di «200 quadri luminosi di paesaggi, tipici costumi ecc.», relativi ai territori che andavano dalla Puglia alla Sicilia (cfr. la Nota del Commissario di P.S. di Carrara al Prefetto di Massa del 6 febbraio 1904, in A.S.M., Questura di Massa, Archivio di Gabinetto, I° versamento, b. 54). 83 Tali disegni sono attualmente conservati presso il Museo Civico Archeologico di Rosignano Marittimo. Tra questi vi è anche un ritratto di fanciulli con due iscrizioni a matita che recitano: «I miei figli Enzo e Romeo» e «Arturo Dazzi, 1915 Rosignano». 84 Ora riprodotta in Pietro Gori, Canti d’esilio. Opere, vol. XII, La Spezia, La Sociale, 1912, p. 55. 85 Per Pietro Gori. Carrara, in Il Libertario del 19 gennaio 1911. vollero offrire alla famiglia del grande apostolo dell’umanesimo».86 Si trattava di «[…] un Pietro Gori pensoso e mesto, col braccio destro abbandonato lungo il plinto e la mano quasi offerta alla stretta di altre mani trepidanti: opera anche questa insigne e meravigliosa del maestro Dazzi».87 Infine, il 30 novembre 1913, a Portoferraio un lunghissimo corteo di «popolo commosso e reverente», in uno sventolare di bandiere rosse e nere, si recava in piazza Cavour, dove veniva solennemente inaugurata «[…] la Targa in memoria dell’apostolo, scolpita dal valente artista Dazzi».88 Si trattava di una targa di marmo di 2 tonnellate, alta circa 3 metri su cui si stagliava «una giovane figura nuda di donna, cinta la testa di un’aureola dolorante di spine (a ricordo dell’infelice vita trascorsa dallo sventurato apostolo) rappresentante l’Idea. Ad un lato della Targa, quasi amorevolmente protetto dalle ali dell’Idea stessa, il medaglione di Pietro Gori».89 La targa di Portoferraio veniva poi riprodotta in cartolina e venduta, a centesimi 5 al pari del ritratto di Gori, dal giornale Il Libertario di La Spezia. Sulla prima pagina di tale giornale, nel numero 528 del 27 novembre 1913, venne anche pubblicata la foto della targa, assieme ad un articolo di Pasquale Binazzi che descriveva, per sommi capi, sia il già citato primo incontro tra Pietro Gori ed Arturo Dazzi, avvenuto a Carrara nel 1902, sia la duratura amicizia sorta tra loro. «Per quanto Arturo Dazzi viva completamente assorto nella sua febbre artistica, di modo che ogni dibattito politico lo trova quasi estraneo alle questioni che si svolgono e agli uomini che vi prendono parte, pure non ha potuto rimanere indifferente di fronte alla complessa e singolare figura di Pietro Gori. […] Nulla quindi di strano che un artista come Arturo Dazzi, pur non nutrendo il sublime ideale politico di Pietro Gori, abbia voluto e saputo eseguire in sua memoria un vero grande lavoro d’arte, inspirandosi all’idea per la quale l’indimenticabile gentile cavaliere dell’anarchia, aveva vibrato, lottato, sofferto, vissuto e per la quale si era innanzi tempo esaurito. Questa riproduzione del pregevole lavoro dà subito risalto all’originalità e alla bellezza del lavoro stesso, eseguito con vera maestria da Pietro Bibolotti di Pietrasanta, allievo del Dazzi. Vi coadiuvò pure il compagno Oscar Bresciani. […] Forse il ritratto di Gori, tolto da una fotografia scelta dal comitato di Portoferraio, non riesce a dare risalto alla di Lui bella figura, ma questo rappresenta un [piccolo] neo nel grande – grande anche come mole – lavoro artistico che l’amicizia di Arturo Dazzi ha ispirato in onore della memoria imperitura del valoroso bardo dell’anarchia. Almeno quel marmo puro, dalle linee armoniose, serva ad ispirare il popolo e gli anarchici a grandi pensieri e a grandi opere; unico e solo mezzo efficace per 86 La commemorazione di Pietro Gori a Rosignano Marittimo, in Il Libertario dell’11 gennaio 1912. 87 Ibidem. 88 La solenne affermazione di popolo alla inaugurazione della Targa di Pietro Gori a Portoferraio, in Il Martello del 6 dicembre 1913. Su tale commemorazione cfr. anche Pasquale Binazzi, Solenne manifestazione in memoria di Pietro Gori, in Il Libertario del 4 dicembre 1913. 89 La solenne affermazione di popolo cit. onorare chi fu tanto valoroso e buono».90 Purtroppo, a ben altri pensieri ed opere si ispirarono le squadracce fasciste che rivolsero la loro brutale violenza, oltre che sugli uomini, anche su simili monumenti. La sera del 29 maggio 1921, a Carrara, nel corso di una lunga serie di rappresaglie che portarono alla devastazione di alcuni circoli socialisti ed anarchici, i fascisti penetrarono nella «Camera del Lavoro, rompendo tutti i quadri e danneggiando [il] busto [di] Pietro Gori, opera [dello] scultore Arturo Dazzi».91 Qualche anno dopo, nel 1926, i fascisti entrarono nel cimitero di Rosignano Marittimo e a colpi di mazza decapitarono e mutilarono il busto in marmo di Gori posto di fronte alla cappella di famiglia. Solo nel dopoguerra, tale busto venne recuperato e collocato all’interno della cappella da parte del Comune di Rosignano, mentre, vari anni dopo, all’esterno venne posizionata una nuova statua di Gori, il cui gesto di battere il pugno destro sul tavolo, mentre l’indice della mano sinistra è posato su di un libro aperto, vuole rappresentare la difesa dei diritti dei deboli. L’epigrafe sulla base di quest’ultima statua recita: «A Pietro Gori, anarchico, avvocato dei poveri, poeta della libertà – Rosignano Marittimo 30 novembre 2001».92 90 Pasquale Binazzi, Arturo Dazzi e Pietro Gori cit. 91 Fonogramma dell’inviato Dinucci a Il Messaggero del 30 maggio 1921, in A.S.M., Commissariato di P.S. di Carrara, b. 55. Per gli scontri tra anarchici e fascisti avvenuti a Carrara in quei giorni, cfr. G. Vatteroni, Sindacalismo, anarchismo e lotte sociali a Carrara dalla prima guerra mondiale all’avvento del fascismo, Edizioni Il Baffardello, Carrara, 2006, pp. 274-283. 92 Sulle opere in marmo presenti nella cappella della famiglia Gori del cimitero di Rosignano Marittimo, cfr. http://www.lungomarecastiglioncello.it/PERSONE/DIVERSI/P_GORI.