Un pomeriggio di dicembre ho avuto modo di visitare Vinca, distante 15km dalla mia abitazione, per poter parlare ed intervistare un importante sopravvissuto e testimone dell’eccidio del 24 – 25 – 26 Agosto 1944, Andrea Quartieri, conosciuto da tutti come “Francé “ perché nato il giorno di San Francesco.
È uno dei superstiti che ricorda e riesce ancora a spiegare in modo vivido, brillante e coinvolgente, nonostante i suoi 88 anni, l’eccidio di Vinca, un vasto rastrellamento che coinvolse il versante lunigianese e massese del crinale apuano o, come definisce lui, quelle “72 ore di carta bianca”.
Appena sono entrata in casa sua, accolta calorosamente da tutti i membri della famiglia, mi ha mostrato le fotografie ufficiali mandate dalla Presidenza della Repubblica, dove compaiono lui e una signora sopravvissuta all’eccidio di San Terenzo, le foto sono state scattate nella sala della biblioteca del comune di Fivizzano, dove è avvenuto l’incontro con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Presidente della Repubblica Federale di Germania Frank-Walter Steinmeier.
Inizialmente non aveva intenzione di andare, anche perché in politica era abbastanza conosciuto avendo fatto il consigliere comunale a Fivizzano, però, convinto dal nipote, è stato contento di aver partecipato, ne parla con estremo orgoglio, soprattutto quando il Presidente della Repubblica, pur non potendo andare in veste ufficiale a Vinca, gli ha garantito che se ne avrà occasione, visiterà il paese in forma privata, come turista.
Andrea Quartieri: “Fammi le domande, ninin, senza timore!”
Domanda: “Volevo sapere che cosa ricorda da testimone di quelle tre giornate cosa facevate, come avete reagito, la sua esperienza personale…”
Andrea Quartieri: “Purtroppo, mi ricordo tutto.”
Mi fissa, e continua: “Era Giovedì 24 Agosto 1944, verso le sei, le truppe nazifasciste cominciarono a salire verso il villaggio. Possedevano circa novanta automezzi, per fortuna uno ebbe un’avaria e arrivarono in ritardo, se fossero stati in anticipo i morti sarebbero stati molti più di 170, forse anche trecento, chissà.
Vinca contava 850 abitanti a quel tempo.
Io avevo tredici anni (sono nato nel 1931), ero un giovinotto, mi sentivo già abbastanza grande e maturo, eravamo cinque ragazzi. Un pastore, che era partito per Pisa, mi aveva lasciato in consegna 150 pecore, dovevo guidarle e mungerle assieme agli altri quattro compagni. La lana ed il latte durante il tempo di guerra erano beni preziosi, da tenere in grande considerazione. Le pecore venivano lasciate allo stato brado, dormivano fuori in una grande pineta e la mattina si doveva andare a riprendere il gregge ed unirlo.
Lungo il sentiero ho sentito delle grida, la gente scappava, giovanotti e uomini di una certa età, tutti si stavano dirigendo verso la montagna urlando “Vengono i tedeschi! Stanno arrivando!” e io, d’impulso, andai subito a fermare le pecore per non farle scendere dalla pineta, per evitare qualche problema, che le prendessero o uccidessero e difatti tutto quello che trovarono vivo sul loro cammino: cani, gatti, mucche, conigli, galline, muli.. tutto venne sterminato senza scrupoli.
Ed è vero sì, i tedeschi avevano il comando ma quello che voglio farti capire è che queste 72 ore di carta bianca sono opera dei fascisti italiani, i militi della Brigata Nera “Mussolini” di Carrara. Sembrava il giorno del giudizio, colpi di qua, colpi di là, era tutto un rimbombo, l’eco si poteva sentire da tutte le parti.
Si sentiva: “Scappate, ci sono i tedeschi!”, di certo non avevamo idea che ci fossero anche le brigate nere, che poi molti erano conosciuti anche di persona… ad esempio, il presidente delle brigate nere della nostra provincia era Giovanni Bragazzi, la sua ex moglie era di Vinca e avevano due figli, ma nonostante questo, insieme ai nazisti ha ordinato la rappresaglia e la rovina del paese.
Io nei due giorni successivi non ero presente, però a Vinca le persone non essendo potute scappare si andarono a nascondere proprio nel centro del paese o in luoghi vicini come all’interno di tronchi cavi di castagni centenari, sotto le rocce, in caverne profonde scavate nella terra, in campi di fagioli o dietro a dei cespugli. Gli scampati alla strage, trovarono rifugio in grotte salendo verso il Pizzo d’Uccello, il Pisanino, e tutti sentirono le grida, gli spari, le voci degli assassini proprio dal nascondiglio in cui erano posizionati, ovviamente senza essere scoperti, sennò sarebbero stati subito uccisi. Perché se ti avessero visto di certo non potevi più fare nulla, eri morto.
Per farti capire, si era sviluppato questo odio, questo desiderio di vendetta, non so in quel momento da cosa possa essere scaturito, è inimmaginabile pensare che un essere umano possa fare delle cose del genere…ma chi lo sa se avessero assunto droghe o che cosa avessero bevuto per agire così.
Questo Bragazzi, ad esempio, era un uomo molto conosciuto, coetaneo di mio babbo, andò a casa del suocero Federico Dominici, un capo cava molto anziano, forse l’uomo più vecchio ucciso a Vinca. Quando si trovò davanti a lui, Bragazzi esclamò in dialetto carrarino “Quant’ a l’er che t zercav, coccon!” ossia “Da quanto tempo ti stavo cercando, bello mio” successivamente lo ha portato fuori casa, in giardino, gli ha messo la pistola in bocca e ha sparato, senza pensarci due volte, proprio a suo suocero…
Quando venne la sera del primo giorno le brigate si allontanarono e molti tornarono in paese anche per rifornirsi di cibo e acqua, anche un po’ per ritrovarsi, si pensava che fosse tutto finito ma io, io non tornai la sera, dormii sulle montagne assieme a mia mamma, mentre mio fratello (più grande di quattro anni) e mia sorella, avendo due bambini piccoli, ritornarono in paese a dormire.
Il venerdì mattina, alle otto e mezza, mentre stavamo tornando, udii un forte boato, venne lanciato un bengala sul monte sopra al paese e subito assieme a mia mamma scappammo verso il Pizzo d’Uccello, per rifugiarci verso Ugliancaldo nelle successive giornate. Dei restanti due giorni, posso dire ben poco, al nostro ritorno abbiamo visto ciò che era successo e naturalmente, avevamo paura anche di noi stessi.”
L’espressione del viso diventa molto pensierosa mentre esclama:
“Non c’è stata una rappresaglia con una percentuale così alta di morti rispetto alla popolazione, 173 su 850, una persona ogni cinque circa, tutte le famiglie hanno subito numerosi lutti, molte sono state totalmente sterminate, insomma, nessun civile è rimasto illeso.”
Domanda: “Ma come mai avevano preso di mira Vinca? Erano presenti i partigiani?”
Andrea Quartieri: “Eh… si diceva che nel paese c’erano i partigiani, sì, ce ne saranno stati quei due o tre, che andavano assieme agli altri della Garfagnana, ma a Vinca effettivamente non “funzionavano” molto.
Qui, dal Novembre del 1943, visto che le nostre montagne sono molto alte e hanno un’ampia visuale (se si va in cima al Sagro si riesce a vedere fino a Livorno e tutta la Versilia) si erano appostati i tedeschi e avevano lavorato tutto l’inverno, quando il 7 luglio 1944 arrivarono i partigiani subito fecero saltare la ruota della teleferica che portava al Monte Sagro, un’azione di sabotaggio per evitare che i tedeschi rifornissero i propri soldati con materiale ed armamenti. Quindi la strage avrebbe dovuto essere quel giorno lì, ma sono proprio stati gli operai tedeschi che hanno svernato con noi a Vinca per diversi anni a salvarci dalle SS. Era l’8 di Giugno, il giorno del Corpus Domini, quei cinque tedeschi assicurarono le SS che a Vinca non c’erano partigiani e che gli abitanti li avevano sempre trattati come dei signori, come gente del paese, i partigiani secondo loro sarebbero arrivati dal forno di Massa… e difatti, il 12 agosto le SS tedesche fecero il primo eccidio a Sant’Anna di Stazzema.
Però, successivamente, lungo la strada verso il paese, venne ucciso un ufficiale tedesco che alloggiava nella prima casa vicino al fiume, era il 16 agosto 1944, anche se molto probabilmente gli assassini erano due ladri, due balordi, quelli che giravano a fare del male.
Coloro che hanno insistito perché questo eccidio accadesse sono stati i fascisti, i mai-morti, le brigate nere, chiamali come vuoi… spingevano per una vendetta, collegavano tutti i misfatti, ricordando anche che il 6 agosto venne rubato un camion militare a Monzone, ritrovato poi a Vinca. Si instaurò questa idea che il villaggio fosse un covo di partigiani, fino a riuscire ad avere queste 72 ore di carta bianca, e durante queste ore chi ha visto, non ha più visto.
Quando la sera siamo rientrati a casa, il paese era completamente distrutto, le case incendiate, si temeva ad andare a dormire, non sapevamo se durante la notte sarebbero tornati, si facevano sempre i turni di guardia al santuario per vedere la strada laggiù, se vedevano qualcuno avvisavano, ma noi dal 24 agosto 1944 ad Aprile 1945 … non si sa come siamo riusciti a sopravvivere, se non avessimo avuto la farina dolce di castagne saremmo tutti morti per la fame.
Le brigate nere saccheggiavano le case e portavano via quello che era commestibile, venne ucciso tutto il bestiame, alcuni animali sopravvissero perché erano allo stato brado, qualcosa possedevamo, una pecora, una capra, un maiale…ma per affrontare l’inverno la situazione era davvero difficile.
Avevamo perso tutto, ci siamo ritrovati scalzi e nudi con il 60% delle case completamente bruciate, la nostra fortunatamente no, per questo abbiamo ospitato molta gente.
Domanda: “Sarà stato veramente terribile… mi permetto di chiederle, poi è libero di rispondere oppure no, se può raccontare come sono stati uccisi alcuni civili? Mentre percorrevo la strada per arrivare a casa sua ho letto le testimonianze di sopravvissuti affisse per le vie del paese, di persone a cui è stata uccisa la famiglia e ho letto delle cose disumane, estremamente cruente, per questo provo un po’ di vergogna a domandare se anche lei ha subito qualche lutto.”
Andrea Quartieri: “Hanno fatto moltissimi sfregi, i miei nonni materni sono stati ammazzati dentro al recinto dell’orto, avevano 70 e 74 anni, io i cadaveri non li ho visti, li avevano già bruciati, ma mi è stato detto che mia nonna aveva una pugnalata profonda che le attraversava il petto.”
Mi mostra una classica vecchia fotografia, in bianco e nero, dei suoi nonni.
“Il Maggiore Walter Reder, era il comandante incaricato dell’operazione antiguerriglia a difesa della Linea Gotica, lo chiamavamo “il monco”, poiché aveva il braccio sinistro amputato a seguito di una battaglia in Russia. Io non capivo cosa diceva, so solo che urlava come una belva e sbraitava ripetutamente la solita parola “KAPUT, KAPUT!”. Non posso dire che abbia sparato lui, però insisteva e gli ordini li dava.
Nel colloquio che ebbi col Presidente tedesco il 25 agosto, tenni a sottolineare che pur mancandogli il braccio sinistro.. dall’altra parte stringeva saldamente il fucile.
Il primo processo venne fatto a Perugia nel 1950, essendo lontano molti sopravvissuti di Vinca non poterono andare, ci portarono le cinque o sei persone che avevano subito i lutti più gravi, fra cui anche mio cugino, a cui era stata uccisa la figlia di due mesi…si chiamava Nunziatina Battaglia… non dovrei nemmeno dirlo, ma era quella bambina alla quale hanno fatto il “tiro al piccione”
Domanda: Cosa intende per tiro al piccione?
Andrea Quartieri: “Si, oddio più precisamente in dialetto si dice “Il tiro al Pettirosso”, Nunziatina in quel momento non era con la madre, era con sua zia, io non ho visto l’episodio, ma i corpi delle due donne sono stati ritrovati vicini, mentre la bimba si trovava nel canale, 50 metri più lontana, quasi in cima alla Foce. È stata gettata per aria e gli hanno sparato addosso, il cadavere fu trovato con un piedino storto. Povera bambina, sono cose che finché si vive non si riescono a dimenticare.
Quando hanno interrogato Reder, al processo di Perugia si trovava dietro a una gabbia di protezione, non ha negato di essere stato a Vinca, però, disse nella sua lingua attraverso degli interpreti “Io mi trovavo a Vinca e ho fatto ammazzare 170 partigiani”.. mio cugino non ci vide più, sbottò: “COME, mia figlia, che aveva soltanto 2 mesi.. era una partigiana? COME, mia cognata.. che aveva soltanto 22 anni.. era una partigiana? Non è nemmeno morta assieme a sua figlia!!! E tutti quei bambini che avete ammazzato, come facevano ad essere partigiani?” hanno dovuto fermarlo, bloccarlo e portarlo fuori dall’aula.
Il secondo processo venne svolto al tribunale militare di La Spezia, dove vennero riconosciuti colpevoli e condannati la famiglia Diamante di Codena, Violi di Marina di Carrara e molti altri.
I giornali principali a quel tempo erano La Nazione e Il Tirreno, dovrei avere ancora per casa il giornale intitolato “A Perugia al processo di Vinca, il 24 Agosto 1944, i tedeschi parlavano il carrarino”, questo era il titolo e come ho detto al presidente della Germania, quattro mesi fa, coloro che comandavano erano le SS, ma diedero troppa mano libera alle brigate nere, agli stessi italiani che potevano essere Lunigianesi, o di Monzone o addirittura del nostro paese.
Quindi, quando si scappava, era normale urlare “Ci sono i tedeschi, ci sono i mai-morti!”, e io li vedevo, da lassù, dalla montagna, mentre ero nascosto perché qua non c’era il bosco come ora, era tutto pulito, potevamo vedere e sentire e quelli che hanno portato via le nostre donne, erano tutti vestiti di nero. Noi pensavamo fossero partigiani, non sapevamo nulla. Riconoscevamo i vestiti color cachi, di un verde sbiadito dei tedeschi. Tanta gente ha perso la vita perché si fidò dell’uniforme. I mai morti erano vestiti di nero e con il viso scoperto, ma chi li ha visti da vicino poi non ha più visto, potevi soltanto vederli in lontananza, mentre camminavano.
I mai-morti ci hanno fatto credere di proteggere e di salvare le donne dai partigiani, anzi, dai ribelli (perché al tempo venivano chiamati così). Queste donne si fidarono, avevano dai 15 ai 25 anni, le donne erano 25 e le bambine erano 4, le hanno portate in cima al paese e cosa hanno fatto non si sa. Venivano accusate di dare da mangiare ai partigiani. Quello che ci ha rammaricato è che sicuramente non sono state uccise subito, le hanno sicuramente violentate, non lo possiamo sapere con certezza e io… io le conoscevo quasi tutte.
Ad esempio Marchia Alfierina, lei poverina l’hanno ammazzata nel castagneto, sotto il sentiero per passare a piedi alle cave, era incinta di 8 mesi le hanno aperto il ventre e messo la creatura in braccio, il cadavere di costei fu trovato squarciato con il feto fuoriuscito.
Spesso le donne venivano uccise e trucidante a testa in giù, con il didietro scoperto, non c’era assolutamente rispetto ed umanità.
Il giorno dopo, ho visto quando le hanno tutte bruciate, perché non si potevano più toccare, faceva caldo e i corpi andavano in decomposizione. Le hanno ammassate, l’unto umano scorreva per la strada.
Ho visto anche quattro o cinque cadaveri dopo otto giorni, eravamo ragazzi, quando si diceva che si erano ritrovati dei morti si andava a vedere. Ma quelle persone erano irriconoscibili, quando si trovavano il colore della pelle era nero, perché utilizzavano i proiettili a “dum dum”, progettati per espandersi all’interno del corpo, aumentando la gravità delle ferite.
E io non so.. tante volte le cose tornano in mente e poi sei costretto a dimenticarle, per poter difendere l’inconscio, perché sennò anche ad un’età già avanzata, la notte continui ad avere incubi. Io ho comunque visto pochi morti, però, quando siamo ritornati, era impossibile riconoscerci anche fra noi. Quando ho visto una donna anziana, la mamma della Giudittina, è stata una sensazione strana! Pensavo che anche lei fosse stata… insomma, uccisa! Quando l’ho vista, sono rimasto scioccato per i primi momenti, poi ovviamente ti riprendi, è viva e la vedi camminare. Quella donna deve essere stata molto fortunata, aveva circa sessantacinque o settant’anni. Quando ci si incontrava e ritrovavi altre persone vive era una vera e propria sorpresa.
Se soltanto qualcuno avesse posseduto un’arma, alcune famiglie avrebbero potuto salvarsi, al tempo del fascio avevano portato via anche tutti i fucili da caccia e nessuno li possedeva più (questo paese è pieno di cacciatori) e io pensavo… specialmente quelli che hanno scovato sotto le rocce, se soltanto avessero avuto un’arma… si sarebbero difesi e si sarebbero potuti frenare questi assassini, invece, a Vinca, in 72 ore, non c’è stato un colpo sparato all’infuori dei nazifascisti, la gente era indifesa.
La burrasca si era scagliata contro degli innocenti, dei vecchi, dei bambini e delle donne.. sono tristi i pensieri a ricordarlo. Una malvagità così non si può neanche dire, però c’è stata. Ad esempio, Boni Silvio, un uomo nato storpio, che non poteva camminare ma di testa c’era, faceva l’orefice, l’hanno ammazzato in strada e fatto rotolare giù per gli orti.
Ti racconterò una cosa che ho detto soltanto una volta: a guerra finita, quando avevo 23 anni, ritornando dalle cave di Colonnata (impiegavo due ore e mezza a piedi per arrivare a casa, ma a quel tempo ero giovane! Era una passeggiata!) Una volta… ho trovato due ragazzi, un maschio e una femmina, percorrevano la salita insieme a me, ci siamo fatti compagnia per 100 metri e nel sentirli parlare ripetevano più volte: “Ja, ja, ja” Domandai se fossero tedeschi, e sì, ovviamente lo erano, la ragazza parlava un po’ l’italiano, allora iniziarono a scaturire diversi pensieri nella mia testa, se fossi stato un vigliacco avrei potuto ammazzarli tutti e due, perché a quel tempo lì.. la rabbia, la vendetta, si temevano ancora molte cose.. poi sono tornato lucido, ma cosa? Questi due ragazzi non erano nemmeno nati, erano molto più giovani di me, non potevano avere delle colpe, non c’era motivo che pagassero loro. Per molto tempo mi sono interrogato se avessi fatto la cosa giusta, se ho fatto bene a lasciarli andare oppure no, perché sarebbero dovuti passare per la via di sotto e avrei potuto lanciargli due massi, due sassi pesanti, non c’era nessuno, avrei potuto ucciderli tutti e due, questo per farti capire come quest’esperienza aveva cambiato la mentalità e il modo di vivere, adesso sono stato contento di non esserci riuscito, di averli lasciati in vita, ma a quel tempo non ne ero del tutto convinto.
Non so come posso spiegarmi nel miglior modo, io le idee politiche le rispetto tutte, ma il fascismo no, non lo posso perdonare. In politica ho sempre parteggiato per la sinistra, ma nonostante io fossi del PCI, avevo buoni rapporti anche con persone di destra, come ad esempio un grande amico morto recentemente, Turcolini, esponente della DC che abitava a Mommio.
Sono dell’idea che chi non rispetta l’ideologia dell’altro non possa definirsi un politico, ma il fascismo… non riesco a perdonarlo.”
Mi sono accorta che questo argomento non era a lui gradito, Andrea Quartieri aveva cambiato espressione: da raggiante e disponibile il suo volto era diventato infelice e pensieroso. Per non essere inopportuna ho preferito non approfondire. Parlando con lui il tempo passava velocemente, non ci si poteva annoiare, abbiamo quindi conversato su: la Lunigiana, i paesi che si stanno spopolando, i giovani, ma soprattutto ciò che ha tenuto a rimarcare è quanto siano importanti le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica: “Ricordare è indispensabile, perché memoria e verità sono alla base della democrazia. La nostra democrazia, i nostri valori di libertà si sviluppano proprio a partire dal sangue versato da innocenti, mai più guerre, mai più lutti.”
Ritengo di essere stata molto fortunata ad aver conosciuto ed ascoltato personalmente Andrea Quartieri, persona estremamente disponibile e fiera di far conoscere e tramandare la sua esperienza di vita. Pur non essendo un testimone oculare di tutti i fatti avvenuti, poiché si era rifugiato e nascosto in una caverna in montagna e poteva soltanto sentire gli spari o le urla, i suoi ricordi sono ancora vivi, riporta perfettamente date e nomi e anche se è possibile che col tempo la memoria possa aver cambiato in qualche modo i fatti accaduti, egli è una persona lucidissima ed inoltre ci furono molti altri paesani che in modo diretto, dai loro nascondigli o rientrando in paese, hanno visto, raccontato, scritto e rilasciato dichiarazioni ai successivi processi sulle barbarie subite ed effettivamente accadute.
La sua adolescenza in confronto a quella che viviamo noi oggi è stata totalmente diversa, non solo per il fatto della guerra in sé ma anche dal punto di vista psicologico ciò che ha dovuto subire è stato devastante, tanto che oggi pare impossibile sia accaduto. Ed è proprio questo che ci deve fare riflettere, sono passati soltanto 75 anni ma sembrano essere un’eternità, per questo penso sia rilevante e significativo che i giovani debbano interessarsi e conoscere ciò che è avvenuto.
Durante la Seconda Guerra Mondiale nella zona in cui vivo, la Lunigiana, oltre a distruzione, fame e bombardamenti, la popolazione civile visse il terrore. Essendo una terra di confine, crocevia di tre regioni vide combattere reparti partigiani che arrivavano da Parma e da Reggio, da La Spezia e la Liguria e dalla Garfagnana sul crinale delle Apuane. Questi gruppi di uomini armati con l’aiuto di staffette, fra le quali anche giovani donne, paesani e grazie a lanci di vivande ed armi da parte degli alleati, svolgevano azioni militari, attentati e sabotaggi contro convogli e pattuglie nazifasciste. Ad ogni azione di scontro fra partigiani e tedeschi seguiva una rappresaglia, i paesi venivano incendiati ed i civili uccisi.
Molti anziani affermano che la vita di tutti i giorni era molto pericolosa, erano semplici contadini costretti a vivere in un clima di paura, i partigiani scendevano dalle montagne, soprattutto la notte e cercavano cibo, dovevi necessariamente darglielo perché erano armati e anche fra di loro c’erano quelli violenti e prepotenti; i tedeschi potevano arrivare a qualsiasi ora del giorno e della notte e vivevi quei momenti con terrore, potevano minacciarti, maltrattarti, deportarti nei campi di lavoro oppure fucilarti per vendetta o rappresaglia, ma come sottolineato da Quartieri molte azioni sono state compiute dai fascisti, persone del luogo, magari tuoi vicini di casa, che in nome dell’ideologia e dell’odio non esitavano a compiere atti violenti, denunciarti, arrestarti o peggio.
Ma quello che è successo a Vinca ed in altri luoghi come Bardine, Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto sono stati riconosciuti come stermini generalizzati di un’intera comunità; eccidi, crimini contro l’umanità.
Riflettendo su ciò che mi è stato raccontato, anche io come Andrea Quartieri, mi sono interrogata su come i fascisti e i nazisti siano riusciti a svolgere certe azioni. Durante i processi molti ufficiali tedeschi si sono difesi dicendo “ho ucciso i ribelli” “ho soltanto obbedito agli ordini superiori” “erano nemici”, ma queste dichiarazioni sono sufficienti a scagionarli dagli atroci crimini che hanno commesso? Agire arbitrariamente o obbedire incondizionatamente a un superiore, senza riflettere, ribaltando completamente morale e valori possono essere una giustificazione? La loro mentalità è veramente stata deviata al punto da rimanere impassibili davanti all’uccisione di anziani, donne e bambini? Per questo è importante ricordare, per evitare che certe azioni possano ripetersi, per prendere coscienza che valori come libertà e democrazia vanno difesi a tutti i costi.
Trovo quindi indispensabile che fin quando queste persone avranno voce per narrare i fatti accaduti sia giusto domandare, informarsi e fare tutto il possibile affinché queste pagine di vita vengano conosciute. La memoria dei drammi e delle sofferenze che la seconda guerra mondiale ha portato deve essere mantenuta viva, soprattutto se visti attraverso gli occhi di un ragazzo che all’epoca aveva 13 anni, e al quale oggi è dato il compito, suo malgrado, di doverli raccontare.
SONIA PANCALDI