Caratteri della Resistenza Apuana

Qualsiasi approfondimento o studio sulla realtà della Resistenza Apuana non può prescindere dal complesso e difficile percorso dell’Antifascismo apuano e da una attenta analisi di come si configurò la politica e l’azione del fascismo nella provincia di Massa e Carrara, e a Carrara particolarmente: qui stanno i presupposti della radicatezza e della vastità del fenomeno resistenziale, anche nei suoi termini quantitativi.

Ma una rigida partizione temporale non permette una completa comprensione del fenomeno, specie dei suoi presupposti e tanto meno dei suoi esiti, per cui, affrontare il tema della Resistenza significa affrontare sostanzialmente la storia di un trentennio, dal 1919 al 1949 .

Categorie storiche e sociologiche quali quelle del “sovversivismo”, indispensabili a comprendere la natura della Resistenza, e in ispecie di quella apuana, debbono essere svolte e considerate sopra il lungo periodo, confrontate con quelle di altre realtà, nazionali ed europee.

Non per questo le specificità della Resistenza apuana avranno il sopravvento sulle complessive caratteristiche della Resistenza italiana ed europea, anzi, si può affermare che le linee di “concordanza” con lo svolgersi del fenomeno resistenziale sono più forti di quanto si possa immaginare.

Anche qui, il ruolo dei perseguitati antifascisti, dei reduci della guerra civile spagnola e dei giovani usciti dal ” lungo viaggio dentro il fascismo” fu fondamentale per l’avvio del fenomeno resistenziale.

Diciamo piuttosto che la somma di queste caratteristiche e particolarità, l’intensità e la partecipazione popolare a quegli avvenimenti, la estrema vicinanza al teatro delle operazioni belliche (la Linea Gotica ) fanno, della Resistenza apuana, un fenomeno di peculiare importanza.

Torneremo in un secondo momento sul problema della natura del movimento di liberazione, ma tutto il ragionamento non può essere svolto senza una considerazione circa i presupposti storici della Resistenza apuana.

L’indagine storica deve necessariamente prendere le mosse dalla crisi del liberalismo e dall’avvento del fascismo.

§-II
Il biennio 1919-1920 nella regione apuana segnò la ripresa su larga scala delle agitazioni operaie che avevano contrassegnato il periodo prebellico, sancendo conquiste salariali e di orario di lavoro importanti e significative: il movimento operaio apuano raggiunse conquiste sindacali che segnano uno dei livelli più alti di contrattazione sindacale di tutto il paese, prima di tutte le 6,40 ore lavorative per i cavatori del marmo; conquiste sindacali e salariali rapidamente neutralizzate dallo scoppio del primo conflitto mondiale, e dalla generale diminuzione delle esportazioni marmifere.

Il 22 giungo 1919 il primo congresso postbellico della C.d.L (fin dagli albori a prevalente direzione anarco-sindacalista) segnava la ripresa ufficiale delle attività sindacali del movimento operaio apuano. Perno centrale delle agitazioni rivendicative era la lotta al carovita e quindi la battaglia per l’aumento dei salari che sfociò nello sciopero generale del 10 aprile 1920; grazie alla mediazione della amministrazione comunale a guida repubblicana, fu firmato un concordato per la revisione mensile dei salari sulla base delle oscillazioni del costo della vita.

Inoltre, dal gennaio 1920, in una serie di articoli apparsi sul giornale “Il Cavatore”, organo della C.d.L. diretto da Alberto Meschi, dal titolo ” Cavatori, le cave sono vostre!” l’avvocato socialista Vico Fiaschi teorizzava l’espropriazione della proprietà delle cave da parte dei cavatori, spingendo l’ala socialista del movimento sindacale verso il massimalismo e verso una intesa con gli anarchici nella conduzione della Camera del Lavoro.

Il tema, caro alla tradizione del proletariato del marmo, che su quel punto aveva costruito mezzo secolo di lotte sociali, divenne una spina nel fianco sia per la grande borghesia marmifera dei “baroni del marmo”, sia per la piccola e media borghesia marmifera che a quella intendeva sostituirsi chiedendo con sempre maggiore forza un riequilibrio, ovviamente a suo favore, della proprietà delle concessioni di escavazione degli agri marmiferi, concentrata, in maniera praticamente monopolistica, nelle mani di un ristretto numero di grandi famiglie industriali, sovente imparentate l’una con l’altra.

Questa nuova classe sociale troverà nel fascismo il più coerente interprete e difensore della propria ascesa sociale.

Il Fascismo a Carrara può essere definito, a tutti gli effetti, una presenza politica entrata in notevole ritardo sulla scena locale, almeno rispetto la data di fondazione del movimento, ma lo squadrismo apuano manifestò rapidamente la sua natura cruenta e sanguinosa, non dissimile dallo squadrismo emiliano e toscano di cui più volte si avvalse, per il medesimo obiettivo di distruzione delle organizzazioni del movimento operaio e di progressiva sostituzione a queste di proprie organizzazioni che attraverso uno spirito consociativo dovevano incanalare la spinta delle masse al fine del raggiungimento dei propri obiettivi di classe.

Sostanzialmente sorse al rientro in città di Renato Ricci, legionario fiumano e quindi membro del direttivo della associazione liberale cittadina.

Come giustamente osservava Antonio Bernieri, “le prime vicende della nuova organizzazione politica coincidono con quelle personali del suo capo”.

Il 13 maggio 1921 si costituì il Fascio di combattimento di Carrara che contava 60 aderenti ; data simbolica quella: le elezioni che si sarebbero svolte di lì a due giorni vedevano il blocco liberale contrapposto al Partito Repubblicano e al Partito Socialista.

Infatti, il 13 maggio a Marina di Carrara durante un comizio elettorale del blocco, oratore ufficiale il liberale Avv. Bernardo Pocherra, alle intemperanze verbali della folla contraria al blocco i fascisti risposero sparando colpi di rivoltella.

Due furono gli uccisi, e sulla morte di uno di questi resta fitto il mistero, poiché capro espiatorio fu un giovane studente in farmacia, di idee repubblicane, estraneo al fatto, mentre un testimone chiave fu trovato morto, schiacciato tra le lastre di un deposito presso la spiaggia, il giorno seguente.

Il 1921, anno di sangue e di violenze, era iniziato il 20 gennaio con l’uccisione di un militante socialista, primo di una lunga teoria di omicidi impuniti perpetrati dai fascisti, che fin da principio, attraverso le loro incursioni, tendevano a colpire i militanti dei partiti operai e democratici, le loro sedi, le loro organizzazioni.

Il bilancio, alla fine del febbraio 1922, consterà di circa 50 omicidi perlopiù impuniti, la sconfitta politica ed organizzativa del movimento operaio, di fatto fu sancita il 18 maggio con l’assalto alla Camera del Lavoro.

Lo squadrismo carrarese si caratterizzava per una sostanziale filiazione dal partito liberale (tra i fondatori del fascio carrarese figurano, oltre il Ricci, il Prof. Ottorino Bisciolini, direttore de “Il Giornale di Carrara”, l’Avv. Oreste Nori, organizzatore del partito, Pietro Prayer, Rizieri Lombardini, i fratelli Picciati, Carlo Gattini, tutti provenienti dalle fila liberali) e per una base sociale principalmente composta dalla piccola e media borghesia cittadina, interventista e fiumana, apparsa sulla scena politica durante l’ultima fase dell’età giolittiana; da operai del marmo imbevuti di sindacalismo interventista, di reduci della grande guerra, ma anche da un fitto drappello di industriali del marmo, che, a partire dal 1922 non esitarono a schierarsi con chi garantiva l’ordine sociale contro un movimento operaio capace di condizionare fortemente la vita politica e sociale della città

L’ intrinseca debolezza del movimento operaio contrapposta alla ferocia dell’aggressione squadrista, le divisioni storiche interne a questo, l’incapacità di agire se non in maniera disordinata o a seguito di aggressioni, la mancanza di comprensione della portata del fenomeno squadrista, segna un punto di non ritorno per l’esperienza storica del movimento operaio apuano. Tramonta l’epoca dell’anarco-sindacalismo, del socialismo massimalista, del repubblicanesimo, di quei movimenti politici e sociali che avranno ancora un peso e una consistenza dopo la caduta del fascismo, ma per ricomporsi, su basi diverse, nella storia dell’ Italia repubblicana.

Alla sconfitta del movimento operaio segue l’emigrazione di leaders e di semplici militanti, verso la Francia o gli Stati Uniti, e pochi sono i quadri che scelgono o possono restare.

A meno di diciotto mesi dalla costituzione del Fascio carrarese, nelle elezioni del 26 novembre i fascisti conquistarono l’amministrazione comunale, eleggendo sindaco l’Avv. Bernardo Pocherra .

Le sorti del fascismo carrarese sono in sostanza le sorti del fascismo apuano.

La centralità e l’importanza di Carrara quale principale centro economico, finanziario, politico, sociale della provincia apuana è un fatto innegabile che solo un campanilismo successivo ha cercato, per ragioni modestissime, di negare.

La scommessa su Carrara era quindi decisiva per la affermazione delle strutture del nuovo partito e, poi, del regime, in tutta la provincia.

Il dissidio scoppiato all’interno del fascismo carrarese tra il Ricci, “Duce di Apuania” e il Pocherra, basato su di un contrasto reale di interessi, (il primo deciso a fare emergere un nuovo ceto industriale rappresentato dalla piccola borghesia marmifera, deciso a scalzare i “baroni del marmo” e il secondo, vicino agli interessi dei tradizionali proprietari) si configura rapidamente nelle due anime del fascismo apuano. La figura di Renato Ricci, uno degli uomini forti ai vertici del regime, si ripercuoterà con tutto il suo peso sulle vicende della provincia durante il ventennio.

L’operazione di Ricci non era solo la sua ascesa personale ai vertici del regime, cosa che poi fu, ma il tentativo di creare le condizioni di una sostituzione delle organizzazioni sindacali fasciste alle tradizionali organizzazioni del movimento operaio in funzione antagonista ai tradizionali “baroni del marmo”. L’obiettivo era duplice: da una parte la sostituzione, con la nuova classe sociale di cui lui e il fascismo erano principali interpreti, della tradizionale classe industriale, dall’altra gettare le basi del regime reazionario di massa nella provincia apuana.

Se il primo obiettivo fu raggiunto, sia per la complessa vicenda legata alla nascita e al declino del Consorzio Obbligatorio dei Marmi, sia per i fallimenti provocati sistematicamente alle grandi aziende degli industriali del marmo a lui antagoniste, il secondo obiettivo risultò essere assai più complesso da raggiungere, e l’azione del fascismo apuano si infranse contro la diffidenza e l’ostilità del proletariato apuano.

Questo momento di rottura è dato dal fallimento dello sciopero del 1924 voluto da Ricci: sciopero asperrimo dettato dal tentativo di convogliare il ribellismo dei cavatori contro le tradizionali famiglie dei “baroni del marmo”.

Questo sciopero, infine concluso grazie al personale interessamento dello stesso Mussolini, dimostrò al proletariato apuano la vera natura sociale del fascismo.

A questa insanabile frattura tra fascismo e proletariato del marmo, che vide l’abbandono dalle fila di questo di numerosi squadristi della prima ora, si sommavano nel biennio successivo le prime battute di arresto di una crisi che coinvolse il settore marmifero a partire dal 1927: in parte per il fallimento del Consorzio voluto dal Ricci nel 1930 e in parte per la sopraggiunta crisi economica mondiale il proletariato apuano fu gettato nella fame e nella miseria.

Non a caso, l’adesione al P.N.F. non raggiunse mai un particolare esito nelle iscrizioni di larghe masse popolari, di contro, le organizzazioni dopolavoristiche che dispensavano aiuti alimentari e sussidi raccolsero vaste adesioni, proprio per la politica di assistenza da loro svolta.

E infine, la nascita della zona industriale apuana, praticamente dal nulla, non è forse data da una strategia del regime tesa a cambiare il profilo industriale della provincia, creando una classe operaia nuova, slegata e distante dal marmo?

Non a caso, in questa e in altre operazioni, intervennero personaggi assai vicini a Ricci, a lui legati a doppia mandata fin dagli albori dello squadrismo toscano quali Ciano e Donegani, ambedue livornesi, eletti deputati nelle liste del blocco durante le elezioni del ’21. Due nomi che saranno sostanzialmente tra gli artefici della politica economica industriale del fascismo e parte attiva di quel ristretto oligopolio di famiglie che avranno la direzione reale delle scelte economiche del paese nel corso di un ventennio.

Il Donegani, presidente della Montecatini, la stessa che rileverà praticamente quasi tutte le concessioni degli agri marmiferi dal fallimento grandi ditte industriali carraresi, quali la Fabbricotti, e Costanzo Ciano, finanziere ed imprenditore, padre di Galeazzo che sposerà Edda Mussolini, in una commistione tra politica e finanza tipica del regime fascista.

§- III
L’11 settembre 1926, Gino Lucetti, anarchico individualista, rientrato in Italia dalla Francia (dove si era rifugiato nel ’21 per le persecuzioni dei fascisti), lancia una bomba Sipe contro Mussolini nei pressi di Porta Pia. Il gesto di Lucetti segna, emblematicamente, il destino dell’antifascismo apuano. Quello “sfortunato gesto liberatorio”, come l’ebbe a definire Antonio Bernieri, divenne, nella mentalità collettiva dell’antifascismo apuano, il segno di una opposizione totale e priva di compromessi ad un regime dispotico e liberticida che tanto sangue aveva versato durante la sua ascesa. Dalla approvazione delle leggi speciali, l’attività antifascista e di opposizione al regime non intermette, ma si riduce sempre più ad attività clandestina, a qualche scritta murale, al lancio di volantini, alla organizzazione di gruppi.

L’indagine sulla natura e la composizione del sovversivismo apuano deve essere ancora compiutamente svolta e sistematizzata in un quadro di riferimento più generale, così come l’indagine sulle caratteristiche del fascismo a livello locale.

La figura del sovversivo è una figura chiave per comprendere i processi storici successivi; isolato, perseguitato dalla polizia, il sovversivo, durante il periodo compreso tra l’avvento del fascismo e i primi anni trenta, era generalmente un oppositore al regime, di fede anarchica, comunista, socialista o repubblicana che si era nutrito di una cultura politica sostanzialmente propria e comune della grande maggioranza dei partiti operai e socialisti della Seconda Internazionale, che in questi militava all’avvento del fascismo, e che non si era piegato, per complesse ragioni politiche o sociologiche, alle violenze o alle lusinghe di questo.

Inoltre, l’incontro con le grandi questioni sollevate durante la rivoluzione sovietica e la spinta quasi palingenetica che questa aveva dato alle masse operaie e diseredate del mondo, si tramutava in una interessante quanto complessa espressione di temi e di atteggiamenti derivanti dalla commistione di una inesorabile convinzione del prossimo riscatto e della rivoluzione mondiale.

Anche sulle masse popolari apuane la rivoluzione sovietica e il mito di Lenin, capo indiscusso della prima grande rivoluzione proletaria, aveva lasciato un indelebile segno, e non solo grazie alla stampa socialista prima e comunista poi, ma espresso più volte in scritte murali e in grida(viva Lenin, viva i soviet), ma anche in canti risistemati sopra motivetti famosi dell’epoca (sventolerai lassù, la guardia rossa ecc.), apparsi in varie parti della città e puntualmente annotati dai funzionari di polizia.

La definizione di sovversivo in effetti è mutuata proprio dall’atteggiamento delle forze dell’ordine costituito che tenderanno a proporre di ognuno di questi un ritratto stereotipato di persona socialmente pericolosa, rissosa e violenta, dedita alla ubriachezza, immorale e pessimo padre di famiglia.

Da un esame dei “sovversivi” di un archivio di polizia si evinceranno sempre profili politici ed umani stereotipati, insieme ad altre importanti notizie ed informazioni che, lo storico attento, può leggere tra le righe.

Spesso viene confusa la stessa appartenenza politica del sovversivo; ma a questo proposito bisogna aggiungere che in molti casi era piuttosto complesso dare una appartenenza politica che rientri perfettamente nel cliché del militante di questo o quel partito invalso a partire dal secondo dopoguerra.

Con questo non si vuol sottendere un prevalere degli elementi di comunanza rispetto a quelli di diversità, ma rendere più esplicito il complesso intreccio di spinte e motivazioni, idee ed azioni che animavano il militante antifascista.

Il lungo documento che qui si inserisce, frutto di un quaderno segreto di un confidente di polizia, infiltrato nelle file degli antifascisti e dei fascisti “scontenti” ci rende uno spaccato di grande interesse sulle modalità di organizzazione, di discussione, sulle iniziative di propaganda svolte nella zona di Avenza tra il 23 maggio 1926 e il 23 novembre dello stesso anno, quindi due mesi dopo l’attentato di Lucetti e la definitiva stretta repressiva sulle organizzazioni antifasciste:
Documento trascritto integralmente, mantenendo ortografia e specif. con (?) il dubbio. Documento Archivio Resist. Carrara Busta 1 – fascicolo 1

23 maggio ’26

Colloquio con Ics e – (Paglini Aristide) per accordo.
24 maggio ’26

Colloquio con Ics in merito alla propaganda Anarchico-Repubblicano-Socialista dei seguenti individui: Zanetti Carlo, Petacchi, Del Padrone, Ricciardi Mario.

Detta riunione fatta in casa Petacchi durata circa un ora.
29 maggio ’26 (sabato)

(cancellatura) coi soliti anno avuto la riunione in casa Petacchi dove anno deliberato che il distributore di tessere si incaricherà il Del Padrone, in altra mi anno assicurato che molte riunioni vengono fatte in casa di Bertoloni (Angelon)

(cancellatura) mi à assicurato che molte volte vi à partecipato anche dei fascisti. Anzi mi dice che presto mi darà una lista con tutti i nomi di questi sovversivi e fascisti che partecipano a dette riunioni (questi sarebbero i capi segreti).
31 maggio ’26 (lunedì)

Durante la giornata mi sono trovato con i Sigg. Del Padrone, Maggesi, Trinci, Menconi Pilade (Anarchico) Zanetti Guglielmo complottando contro il regime Fascista e parlando per i tesseramenti, e polemizzando i fatti di Genova, e quello Tramvieri di Avenza.

Mi riferisce Ics che il Comunista Sangiampietri, spesso prende dei giornali e si reca a Bonascola a fare della propaganda e vendendo il giornale l’Umanità, Ics mi assicura che il segretario del fascio di Bonascola acquista anche lui detto giornale. Nella macelleria Angelon arriva la Voce Repubblicana ma indirizzata Circolo G. Bovio Avenza. La sera del 30/5/26 si sono riuniti in casa Petacchi.

I Sigg. Del Padrone, Petacchi, Ricciardi Mario, Lodola Guglielmo e Ics.

Discutono per il fatto del tesseramento e di riunirsi e propagandare.

Il Copetta (?) (Petacchi) da ordini a Lodola di prendere i giornali dove lui sa (Casa Angelon) e di distribuirli.

Stop.
9/6/26 (Mercoledì Casa Toliema ?)

Si sono riuniti i sigg. Fascisti Corsi Carlo (Minestrino) Mazzi (Tuzzi) ed altri i quali discutevano di anarchia, il Corsi diceva che l’uomo non dovrebbe lavorare più di 2 ore come dice il programma anarchico.

Il Del Padrone dice che lui à istruito i suoi compagni di lavoro ad astenersi dal lavoro perché non vogliono lavorare più di 8 ore e restano a casa per tre giorni, ma poi furono richiamati dal padrone ma non ànno voluto far passare come sciopero la sua assenza. Prende la parola il Menconi Asdrubale il quale si spaccia anche mutilato Fascista, il quale dice che dovevano mettersi tutti nel Fascio almeno non c’era pericolo di essere tormentati e così era il caso che il comando era di loro, perché essendo fascisti era probabile che i repubblicani avevano cambiato suonata ma i suonatori erano sempre quelli come tutt’oggi sono, e invita i repubblicani a dimettersi dalla P.A.

ore 10. La sera il Lucetti Andreino (Carolan) si avviava sotto Avenza con una quindicina di giovanotti, il detto Lucetti sta organizzando il circolo Gioventù Anarchica, a questo gli arriva il giornale anarchico la “Fede” (ma in testa al fratello) e lui pensa a distribuirli.

Sempre nella stessa sera nella cantina della Menconi Clementa, i repubblicani Crudelli (Ninetto) Rossi Oreste (Re) Menconi Carlo (Ciampicon) Procuranti Filippo e molti altri degli Alberti, tenevano una discussione contro l’organizzazione Fascista e il sindacalismo, perché non possono più reclamare i suoi diritti, essendo le organizzazioni in mano ai Fascisti.

Stop.

P.S. Migeso à mandato il figlio alla Marina di Massa con una lettera da Chiesa, con risposta, e alla sera si è radunato nel Baret con Crudelli Ettore – Camillo ed altri.
26/6/26

Si sono riuniti nel Club Sindacale i Sigg. (presente il dispensiere) Menconi Carlo (Cipolla) Fascista, Brizzi Archimede, Fascista, Dazzi Secondo, Repubblicano, Corsi Alfredo, Repubblicano, Tenerani ? soprannominato Magretto, Anarchico.

Dopo varie discussioni contro il regime fascista, il Tenerani inveisce contro i compagni dicendo ‘avete avuto paura di morire, ma io sono sempre pronto’
1/7/26

Riunione a piccoli gruppi in piazza Mazzini Avenza, e nella cantina di Bertolani Angelo (Angelon) i sigg. Menconi Guido , Fascista espulso, Bagnoni Ismaele, repubblicano.

Il Menconi dice che sarebbe l’ora di prendere il fucile. Il … dice non gli pare l’ora, anche per rifarsi con molti fascisti. Menconi Gino di Ottaviano dice che lui è Fascista per uno scopo e se mi comandassero di picchiare non picchierei, anzi mi rigirerei, e se tutti fossero come me non lavorerebbero più di otto ore e non mangerebbero il pane miscellato. La comitiva risponde tocca a voialtri fascisti levare l’acqua dal vino, ed egli dice le armi ce l’anno date e le adopereremo contro di loro.

Il comunista Sangianpietri Gino (detto Lenin) gli arrivano i giornali per conto suo da distribuire per Bonascola.
8/7/26

Colloquio con Ics e suo fratello, i quali mi assicurano che le organizazioni vanno avanti purché il Maresciallo non gli disturbi come recentemente nelle perquisizioni fatte in casa di Sangiampietri, perché questo è il perno dell’organizzazione Comunista, al quale non ànno trovato che il quadro di Matteotti e qualche giornale.

Ics mi assicura che a Sangiampietri dopo la perquisizione non fa più arrivare i giornali in testa sua ma indirizatti al nome di Peri Enrichetta Avenza, i detti giornali arrivano tutti i lunedì e pocchi ne distribuisce ad Avenza, ma li porta a Bonascola, ove è protetto da quel segretario Comarelli.

Ics mi riferisce che per il paese la vendita dei giornali la Fede pensa Lucetti al quale arrivano una diecina di coppie, indirizzate al fratello attualmente in Francia.

Al Sangiampietri arriva pure 5 coppie di giornale “Pensiero e Volontà”.

Ics mi assicura che molti oppuscoli e altre cose riguardo alla proppaganda sovversiva viene tenuta in casa di Fascisti, il quale mi darà i nomi di questi fascisti, appena sarà bene a conoscenza dove si trova la bandiera anarchica.
15/7/26

Mi riferisce Ics che arriva intestati a Cella Carmello di Serafino (detto il Monchetto) i giornali anarchici la Fede e “Pensiero e Volontà” questo e un opuscolo.
28/7/26 Sono stato invitato da Ics alle ore 9 di sera di trovarmi sul ponte del fiume a Marina, il quale mi à riferito che dopo la perquisizione fatta a Sangianpietri, a costui non arrivano più nessun giornale, non rimane altro che il gerente del giornale “L’Unità” che arriva al giornalaio ma per suo conto.

In quanto ai giornali anarchici arrivano a Cella Carmelo tutti i lunedì arriva la fede e ogni 15 giorni arrivano dei opuscoli “Pensiero e Volontà” il quale unitamente a Lucetti pensano alla distribuzione.

Ics mi riferisce che il Dott. Gino Menconi di Angelo è passato al Comunismo, anzi crede che sia lui che à portato le tessere comuniste ad Avenza, tra i tesserati al presente sarebbe il noto socialista Vatteroni Archimede fu Ferdinando detto “Cazarola” questo è anche un propagandista.

Mi dice Ics II che alla Madona del Leano abita una famiglia di Tedeschi che à quanto crede appartiene allo spionaggio; anzi molte volte viene ad Avenza a domandare come vanno le organizzazioni sovversive (credo che appartenga al partito anarchico.
29/8/26

La sera del 29/8 nel Club Sindacati di Avenza fu tenuto una riunione a porte chiuse tra i sig. Grassi Corrado, Fascista, Menconi Luciano, Fascista, Perutelli Andrea, Fascista, Seghetti Giocondo, Anarchico e uno di Massa che non so il nome. Questo era ubriaco e fu accompagnato dai stessi Fascisti per non farlo buscarsi una contravvenzione per ubriachezza, la discussione è su questo tono. Il popolo è ingnorante, tutto vede e pur ci crede e come le pecore si lascia trascinare

Ics mi dice che il sabato mattina del 29/8 si è recato nella macelleria di Bertoloni Angelo (Angelon) il quale vende anche il vino da esportarsi, il quale aveva su di un tavolino un blocco ricevute intestate a Circolo G. Bovio con madre e figlia quasi consumato, dette ricevute servono per il pagamento delle quote agli ascritti al partito repubblicano, gli ascriti vanno nel macello con la scusa della carne e per il vino stacano la ricevuta e poi passano dal banco e lascia la sua quota, però le ricevute non sono firmate.Sempre lo stesso giorno ci siamo trovati assieme ai sig. Menconi Pilade (Formio) repubblicano, Spagnoli Renato, del Padrone Titi, Dalle Mura, repubblicani, i quali discutevano per i fatti di Massa, alla discussione teneva testa il Menconi Pilade, Anarchico, il quale diceva che ci vorebbe delle bombe e sarebbe ora di scendere in piazza, ma il Menconi Ricardo rispondeva che non è ancora il momento.
31/8/26
Si sono trovati in discussione il del Padrone, repubblicano, con Menconi Luciano, Fascista e M.V. S. N.

Il Del Padrone dava della spia al Menconi mentre costui diceva che una spia non è mai stato, anzi se è Fascista lo è per salvar loro perchè quando sapeva che volevano picchiare qualcuno dei Repubblicani faceva di tutto per avvertire (come di fatto è vero perchè poco tempo fa io dovevo picchiare uno e lui à subito avvertito questo di scappare perchè io lo stavo cercando) a queste dichiarazioni fatte dal Menconi e approvate da molti Repubblicani presenti, il Del Padrone si è persuaso è à domandato scusa al Menconi.

P.S. Il Del Pdrone è il capo gruppo del Circolo Barsanti e il Menconi prima di essere Fascista apparteneva a detto Circolo.
18/9/26
Mi riferisce Ics che la società di sottoscrizione Comunista è in Bonascola.

Si sono riuniti i sig. Cucurnia Alfredo, Repubblicano, Seghetti Giocondo, Anarchico, Del Padrone, Repubblicano, Ricciardi Mario, Repubblicano, Menconi Salvatore, Repubblicano, Sangianpietri Gino, Comunista, Toson, Repubblicano.

I detti signori discutevano in merito all’ attentato al Duce, il Del Padrone dice che il colpo è andato male e se andava, le cose sarebbero cambiate, ma speriamo a quest’altra volta. Risponde Sangianpietri Gino ‘bravo Lucetti, questo si che è un uomo coraggioso, questi sono uomini ma non noi, cosa ne dite voialtri? e tutti in coro rispondevano ài ragione.

Ics mi riferisce che nelle file repubblicane si sta preparando un piano, che consiste in questo. Far entrare nelle file Fasciste dei elementi repubblicani i quali dovranno farsi vedere utili al partito nostro, per dare tranquillità al Paese, e nello stesso tempo far della propaganda tra i Fascisti, e alle elezioni del nuovo direttorio entrare loro per prendere le redini in mano.

Ics mi dice che questi signori faranno la domanda nel fascio non ad Avenza, ma ad altre sezioni, per esempio il Del Padrone e Ricciardi al fascio di Marina, Cucurnia al Fascio di Frassina, come pure Toson, Seghetti ritornerà per la seconda volta a farla a quello di Avenza (costui è un dissertore di Guerra)
19/9/26
Ics mi dice che Menconi Salvatore è del parere favorevole che questa gente entri nel Fascio per salvare il Paese, ma lui rimane dietro le quinte, perchè lui è salvo dato che lui è nel club, anzi dicono appertamente che il club è repubblicano e tengono qualche fascista per avere un appogio, come Perutelli, Bagnoni e altri.

Ics mi dice che Cucurnia Guglielmo (Isé) di Bernardo anarchico pericoloso tiene nascosto in casa 4 bombe, però ancora non sappiamo il punto preciso, perciò bisogna ancora indagare. Il sudetto Isé abita alla Dogana, il detto Isé a quanto pare tiene anche in casa la bandiera repubblicana consegnatali dal fratello Cucurnia Alfredo.
19/11/26

Ics mi dice che se fosse il caso di fare una perquisizione in casa di Alfredo contemporaneamente di farla anche al padre suo Bernardo e al sergentini Marino, caposquadra della M.V.S.N. e nello stesso tempo al detto Isé abitante alla Dogana, ma a costui non bisogna metterlo in sospeto perché non si potrebbe scoprire più il nascondiglio delle bombe.
23/11/26

Ics mi dice che in una discussione avuta con parechi soversivi e parlando di cose più o meno contro le nostre organizazioni prese la parola il Menconi Guido di Umberto, ex Fascista il quale diceva quando fui arrestato a Fosdinovo temeva che gli perquisisero la casa, ma invece non gli fecero nessuna perquisizione al suo rilascio venne a casa diede fuoco a tutto (che consiste in questo) due libri di Mario Mariani anarchici consegnatigli dal Lucetti prima che fugise in Francia, più un fascicolo di riviste anarchiche consegnategli dal Bibbi Gino (poco prima dell’ attentatto) il quale doveva per ordine del Bibbi distribuire ai compagni, anzi dice che una rivista la consegnata al Cucurnia… fu Oreste via sottoAvenza e a molti altri; e diversi opuscoli mi sono rimasti in casa che poi li brucio.

Il Menconi Guido dice che in discorso di propaganda fatto dal Bibbi lo seppe così attrare che rimase convinto dell’idea anarchica, ma però dice, anno ragione gli anarchici, ma io dice Menconi, ora è meglio andare dietro la corrente altrimenti con la legge del Confine non si scherza.

La sera stessa in casa Dazzi Giocondo, vi era Menconi Luigi d’Antonio, Corsi Umberto, il Tongiani ed altri, i quali se la discutevano tranquillamente. La discussione era su questo tenore, che la sera il figlio della Gemma Ugo Corsi voleva mandare a letto il dazzi il quale si rifiutava, poi fugì e quindi i fascisti sono andati a casa sua dove ànno riconosciuto Tonino e che stavano li per lui. La sera del 18 il dazzi si trovava nuovamente in compagnia dei soliti e disse ora mi metto nel fascio anch’io e così potrò girare, anzi ora vado insieme a quelli che comandano e poi quando non potrò più fare a meno mi metterò anch’io ma è come che non fossi perchè piuttosto che picchiare un altro me le faccio dare a me, allora risponde uno della compagnia (e sarebbe uno di Pordenone) il quale disse al Dazzi, ma chi è quello che ti è corso dietro? è quello che guarda male e che guarda tutti con mali occhi, io a quello che ti guarda male, a quello gli spaccherei volentieri la faccia, ma dimmi chi è quello, e il Dazzi disse è Tonino, e passarono ad altre cosuccie del fascismo. Allora io che stavo ad orecchiare uscì dal mio nascondiglio e andai in piazza ad aspetarli, è quando diedi due schiaffi a Gigi.
Delle 105 assegnazioni al confino di militanti antifascisti della provincia di Massa e Carrara, le prime 13 furono conferite nel biennio 1926-27, per poi riprendere solo nel 1931.

Una fase di stasi nella attività antifascista?

Più avanti proveremo a delineare una risposta.

Il 19 novembre 1926 veniva condannato ad anni 5 Gino Bibbi, “anarchico audace, pericoloso, esterna pubblicamente le proprie idee” come riporta la motivazione della condanna, e nella stessa data Binazzi Pasquale, meccanico, animatore della stampa anarchica già collaboratore di Meschi, Briglia Antonio, repubblicano, viaggiatore di commercio, Ceschi Enrico, avvocato socialista. Sarà inoltre condannato in contumacia Gino Menconi, dottore in scienze commerciali, comunista, dirigente del P.C.I. nella clandestinità e figura importantissima della Resistenza, Michi Massimo, muratore, comunista, sempre per organizzazione e attività comunista, futuro dirigente del P.C.I. provinciale, Bigini Mario, fornaio, comunista, Peroni Carlotta di Caprigliola, “anarchica fervente e intelligente”, casalinga di 61 anni che diverrà cieca nel carcere di Lipari, Iacopini Giuseppe massese, barbiere, anarchico, per attività antifascista ed infine Starnuti Edgardo, avvocato, repubblicano, animatore del giornale “La Sveglia Repubblicana”, fino al 1922 sindaco di Carrara.

Nel ’27 fu arrestata la sorella di Gino Lucetti, Ida, per avere promosso una sottoscrizione a favore del fratello, e per lo stesso capo di accusa Bordigoni Ernesto, elettricista, socialista; Ricciarelli Nello, imbianchino, anarchico, fu invece arrestato in qualità di ” sospetto correo in attentato a capo del governo”.

Questa sommaria elencazione, a mio vedere, conferma sostanzialmente quanto affermato in precedenza circa la prima fase di lotta antifascista, e sorprende l’assenza di cavatori o lavoratori del marmo in questo elenco; presenza che invece si farà estremamente fitta a partire dal 1932.

L’estrema scarsità delle informazioni documentarie deve necessariamente spostare la ricerca su altre fonti, quali le fonti orali, le testimonianze, le fonti incrociate, in una minuziosa ricerca di quegli esili fili dell’antifascismo apuano a cavallo tra la seconda metà degli anni venti e i primi anni trenta.

In effetti, l’unica organizzazione clandestina comunque operante fu quella dei comunisti, sebbene anche gli anarchici avevano gruppi segreti che si riunivano al fine di non sciogliere il rapporto tra i militanti del movimento locale e l’emigrazione politica.

Il Partito comunista, fin dalla sua fondazione dopo la scissione di Livorno, il 21 gennaio 1921, ebbe un discreto numero di aderenti in terra apuana (47 iscritti in provincia nel 1921) e delegati che in quella sede diedero vita al nuovo partito: è il caso di Aladino Bibolotti, primo segretario della federazione di Massa e Carrara, nel ’46 tra i padri fondatori della nostra Repubblica, di Andreino Musetti primo segretario della Federazione Giovanile Comunista di Massa e Carrara, già segretario di quella socialista e di altri ancora. I comunisti e gli anarchici furono le uniche due formazioni politiche a non firmare il patto di pacificazione con i fascisti e a determinare una qualche risposta organizzata alla violenza dei fascisti.

Nel corso delle elezioni del maggio 1921 i comunisti a Carrara ottennero 358 voti, un terzo di quelli dei socialisti, e avevano una presenza organizzativa sul territorio in Città, in alcune borgate limitrofe, ad Avenza, e nella frazione a monte di Sorgnano.

Molti militanti comunisti, e questo è il dato nuovo, e spiega il perché nel periodo dal ’26 al ’32 non ci furono praticamente rapporti con la centrale regionale toscana, gravitavano sull’area spezzina, essendo là impiegati in qualità di operai dell’arsenale o dei cantieri.

Attraverso laboriose ricerche, siamo riusciti a raccogliere dati ed informazioni che confortano questa tesi e in un certo senso danno uno spaccato generazionale della progressiva evoluzione delle formazioni politiche del movimento operaio.

In questo caso la ricerca nasce dal tentativo di chiarire le motivazioni politiche ed ideali di un militante antifascista condannato a 18 anni dal tribunale speciale: Almo Bertolini.

Il padre, Artemio, originario di Sassalbo, è uno dei molti immigrati che, negli anni ’80 del secolo scorso giungono in città attratti dalle possibilità di lavoro conseguenti la crescita dell’industria dei marmi, e prenderà parte ai moti del ’94. Il figlio primogenito, Artemio, partecipa al congresso di Livorno nel ’21 ed aderisce alla scissione comunista; nel ’19 partecipa al movimento dei consigli e alla occupazione delle fabbriche a La Spezia, nel ’20-21 milita negli arditi del popolo a Sampierdarena, infine, nella prima metà degli anni ’20, assunto nella Ferrovia Marmifera, darà vita insieme ad altri compagni ad un centro comunista clandestino, partecipando alla attività clandestina del P.C.I., compreso la diffusione di materiale a stampa, scritte murali contro il regime ecc.

L’attività rimane segreta anche per i familiari, che ne vengono a conoscenza soltanto alla caduta del regime.

Il fratello secondogenito, Almo, studente, si laurea in Economia e durante il periodo degli studi si avvicina e milita nelle file dei repubblicani collettivisti carraresi (lo stesso avveniva per Gino Menconi) e collabora alla redazione de “La Sveglia Repubblicana” fino al 1926, anno di soppressione del giornale; in quell’ambiente tra collettivismo repubblicano ed anarchismo viene edotto circa l’attentato a Mussolini che Gino Lucetti stava preparando, ed entra in contatto con gli ambienti antifascisti. Nel 1930-31 è supplente di lingua francese al liceo di Orbetello, e nel 1931, entra in qualità di agente di commercio con la ditta Biggi di Pietrasanta che lo porterà sovente all’estero, particolarmente a Parigi e Londra, e in numerose città italiane del centro nord. A Parigi il numero dei fuoriusciti apuani era assai consistente, ed egli diviene rapidamente “corriere”. Nel 1932 organizza a Carrara una cellula di attività clandestina comunista insieme a Piccini Amerigo “Nuvlon”, pittore, che presto si allargherà ad altri militanti: Giuseppe Mariani, Alberto Dolci, Gino Scopsi, guardiano dell’Ospedale Civico, Medardo Angeloni e Mussi Alfredo. Nel ’32, nel corso di un viaggio a Parigi, prenderà contatti con Arturo Colombi, del centro estero del P.C.I., originario di Forno, con Rossi. Nel ’35 si interrompono i contatti con il centro estero del P.C.I., e viene allora stabilito un contatto con il centro estero di Giustizia e Libertà, dove conoscerà di persona i fratelli Rosselli. Da qualche tempo l’ O.V.R.A. seguiva le sue mosse e questa è la spiegazione plausibile della improvvisa rottura di contatto con il centro estero del P.C.I.. Risalendo, grazie ad alcune corrispondenze sulla stampa di G.L. e alla intercettazione di lettere tra esuli in Francia e familiari a Carrara, il gruppo viene scoperto, Bertolini e gli altri arrestati e giudicati dal tribunale speciale con pene varianti dai 18 ai 4 anni.

L’organizzazione comunista di Avenza, capeggiata da Athos Bugliani (condannato ad anni 16 di reclusione dal tribunale speciale) si radicherà principalmente in un gruppo di operai della Piaggio che andranno a lavorare negli stabilimenti di Pontedera e di Genova, dove vengono a contatto con le organizzazioni comuniste. In sostanza, la presenza comunista a Carrara, durante il periodo della clandestinità fino alla seconda metà degli anni trenta avrà una vita basata su organizzazioni sovente prive di rapporti organici tra loro, perlopiù collegate a gruppi o cellule di grandi stabilimenti industriali di altre zone e regioni; solo a partire dalla seconda metà degli anni ’30 si giunge ad una organizzazione maggiormente omogenea fatta di elementi che vivono ed operano sul luogo, che svolgono una attività intensa di propaganda verso le masse del proletariato del marmo.

E’ significativa, da questo punto di vista, la figura di Carlo Andrei “Pipa”, uno dei maggiori dirigenti della Resistenza apuana. Direttore di uno dei maggiori studi di scultura cittadini, nel 1932 si iscrive al P.C.I. e si adopera, con grande accortezza, al radicamento della organizzazione comunista tra i lavoratori del marmo.

E’ infatti a partire da quegli anni che si intensifica il lavoro dell’antifascismo apuano e che la triste lista dei condannati dal tribunale speciale e confinati si allunga enormemente, riempiendosi di operai del marmo. Segno del fallimento del fascismo rispetto le masse apuane, segno del risveglio di una memoria collettiva che, nonostante lo strappo del fascismo, non scompare; e soprattutto progressivo ingresso delle generazioni cresciute sotto il regime nella consapevolezza di un riscatto.

La notte tra il 26 e il 27 ottobre 1930 erano nuovamente comparse scritte sovversive sui muri del campo sportivo, e il 10 novembre, a Bonascola erano comparse le scritte seguenti: Viva la Rivoluzione Russa, Abbasso il fascismo; e il 7 novembre, anniversario della Rivoluzione Sovietica erano stati disseminati nelle cave di Fantiscritti molti bigliettini a stampa inneggianti alla Rivoluzione Russa e contro il fascismo.

Infine il 27 dicembre, sempre sui muri del campo sportivo: “Abbasso il Duce, viva la Russia”.

Il 26 agosto 1931 avveniva un primo importante segnale di inversione di tendenza tra i cavatori, che dopo un quinquennio si riaffacciavano da protagonisti sulla scena politica: alle ore 13, circa duemila cavatori incolonnati accompagnarono dalle cave in città un compagno agonizzate, mortalmente ferito in un incidente di cava, che spirò lungo il viaggio. Il commissario di P.S. con alcuni suoi uomini fermò la colonna all’imbocco di viale Potrignano arrestando cinque cavatori. Poi ne ricevette una delegazione, i quali espressero la loro protesta per gli infortuni sul lavoro e per i bassi salari, dicendo che la manifestazione doveva essere un monito agli industriali.

Infine, nella primavera del 1932 una buona parte di operai del marmo aveva dato vita ad uno sciopero durato 24 ore.

In un documento riservato spedito dal commissario di P.S. di Pisa Alfredo Ingrassia al questore di Massa con oggetto : “Carrara-Organizzazione Clandestina Comunista -1932-1933-1934” del 11 agosto 1936 (documento conservato presso questo archivio della Resistenza- Segreteria- Busta 1-fascicolo 2) si scrive:

Negli ultimi mesi del 1932 ad opera di Ongaro Arpino Arturo Francesco di Gabriele e fragola Giuditta, nato ad Arcola il 30/11/1889, abitante a La Spezia si costituì in Carrara il Partito Comunista al quale aderirono il noto Bertolini Almo, che ne prese la direzione, Scopis Gino, Piccini Amerigo, Baiocchi Catullo, Angeloni Medardo, Lucchetti Loris di Adolfo e di Canfrei Vilma, nato a Carrara il 23/3/1910 e Berlucchi Gisberto di Carlo e di Borghetti Rosa nato a Carrara il 23/3/1902, barbiere, abitante in Carrara via Grazzano 17.

Gli stessi presero parte a diverse riunioni avvenute in Carrara, esplicarono attività per fare aderire altri alla organizzazione e curarono la diffusione di stampati Comunisti.

L’organizzazione stessa cessò di funzionare nel maggio del 1934, quando il noto Mussi Alfredo denunziò di aver avuto dal Baiocchi dei manifestini sovversivi.

La direzione generale di P.S., vagliate le singole responsabilità, è venuta nella decisione, con telegramma n°26172/441 del 10 c.m. di far assegnare al confino di Polizia Angeloni Medardo che, oltre ad avere avuto nell’organizzazione parte principale e attiva, si dimostrava col suo contegno, Comunista irriducibile, ed ha giudicato bastevole per Fusani Alfredo, Musetti Carlo, e Pietriccioli Gino che risulta si sieno ritirati dall’organizzazione prima che cessasse di funzionare e che sono pentiti dell’ attività antifascista svolta, la Diffida ai sensi dell’ art. 164 della legge di P.S.

La predetta direzione generale della P.S. a poi disposto che non siano presi provvedimenti a carico di Baiocchi Catullo perché per detta attività fu a suo tempo inviato al Confino di Polizia, a carico di Lucchetti Loris e Berlucchi Gisberto perché attualmente il primo richiamato alle armi ed il secondo operaio in A.O. I. riservandosi di prendere i provvedimenti necessari qualora gli stessi, nell’ avvenire diano luogo a rimarchi. Per notizia informo poi la S.V. Ill.ma che nessun provvedimento è stato preso a carico di Bertolini, Scopis e Piccini perché denunziati per altra grave attività antifascista al tribunale Speciale per la difesa dello stato ed a carico di Ongaro Arpino arrestato nell’ottobre 1933 per costituzione del Partito Comunista a la Spezia e condannato in seguito al Tribunale Speciale per tanto; presi gli ordini dell’Ill/mo sig; Ispettore Generale di P.S. Comm. D’Andrea informo la Sig./V/Ill.ma che ho in pari data richiesto all’Ill.mo sig. Questore di Pisa che gli arrestati Musetti, Petriccioli e Baiocchi siano muniti di foglio di via per costà e Angeloni sia tradotto nelle carceri di Massa a disposizione di cotesta Questura per gli ulteriori adempimenti.

Credo che questo documento confermi ulteriormente quanto ricostruito sopra.
§- IV
E’ la guerra civile spagnola, a tutti gli effetti, il grande momento di formazione di quella unità antifascista che sarà alla base della lotta di liberazione nazionale, quella fucina di dirigenti politici e militari della Resistenza italiana ed europea, quell’intensa esperienza di una generazione che non si era piegata al fascismo.

Nella sezione italiana della Brigata “Francisco Ascoso” troveremo gli anarchici carraresi Alberto Meschi, Giuseppe Petacchi, Paolo Perfetti, Gino Speranza, Vannucci “Canarin”, che insieme a decine di militanti non avevano mai intermesso la loro opposizione al regime. Nel lungo elenco degli anarchici carraresi finiti al confino di Ponza e di Ventotene ritroviamo molti dei futuri animatori della Resistenza: Romualdo Del Papa, Onofrio Ludovici, Renato Macchiarini, Giuseppe Petacchi, Giuseppe Azzari, Renato Olivieri, Napoleone Vanelli, Venturello Perassino.

In sostanza, il nucleo centrale della Resistenza apuana si forma in quegli anni e sarà capace di una risposta immediata alla caduta del fascismo.

E’ quindi proprio durante il periodo di maggiore espansione e consenso di massa al regime che l’antifascismo apuano si caratterizza per una intensa azione tesa a trovare consenso tra le masse stremate dalla crisi economica che ancora investe il settore marmifero, unica grande risorsa della economia apuana.

Dal 1932 l’elenco degli antifascisti inviati al confino si infittisce, e le motivazioni dell’accusa variano da ” confabulava con sovversivi in atteggiamento sospetto”, ad “aggressione a un fascista, attività sovversiva”, a “canti anarchici, grida ostili al fascismo” “diffusione di volantini comunisti”, “diffusione di stampa comunista”, “manifestazione antifascista in occasione dei funerali dell’anarchico Loris Dell’Amico”, “scritte murali antifasciste”, ” esposto al capo del governo contenente frasi offensive per il fascismo”, ” nel corso di una discussione politica mandano all’ospedale il segretario del fascio di Carrara”, ” turba una cerimonia che si teneva in chiesa per il 4 novembre gridando di essere disoccupato”, “grida all’interno della sede del fascio ‘siamo alla fame'”.

Anarchici, comunisti, socialisti, repubblicani, antifascisti in genere, significa, per la provincia di Massa e Carrara, e per Carrara particolarmente, 105 assegnazioni al confino (di cui 4 donne) dal 1926 al 1943 (30 anarchici, 26 antifascisti, 23 comunisti, 8 socialisti, 5 repubblicani, 4 apolitici), 17 condannati dal tribunale speciale (Armanetti Dante, anni 7, Bambini Lino, anni 5, Bertolini Almo, anni 18, Bibolotti Aladino, anni 18 e mesi 4, Bugliani Athos, anni 16, Cesari Gaetano, anni 5, Colombi Arturo, anni 18, Cortesi Giulio, anni 4, Mariani Giuseppe, anni 10, Menconi Gino, anni 17, Michi Massimo, anni 6, Montemaggi Emilio, anni 2, Piccini Americo, anni 2 e mesi 6, Scopis Gino, anni 4, Vatteroni Stefano anni 18 e mesi 9).

Si trattava, inoltre, di una generazione politica sospesa tra vecchi militanti del movimento operaio e quadri del periodo prefascista che, allo scoppio della guerra, avevano un età media attorno ai 40 anni, cioè il doppio di quella che sarà l’età media degli aderenti le formazioni partigiane.

La dichiarazione di guerra, il 10 giugno 1940, fu accolta in piazza Farini da una folla entusiasta, composta soprattutto da giovani che nell’idea della guerra erano stati educati; pochi mesi dopo, il rientro della salma del primo giovane soldato carrarese caduto sul fronte, fece cambiare radicalmente l’atteggiamento delle nuove generazioni rispetto alla guerra voluta dal fascismo, proprio perché questa diveniva tangibile non più attraverso i cinegiornali proiettati nei numerosi cinema cittadini, ma attraverso il dolore.

L’anno precedente, il re in persona aveva inaugurato la nuova zona industriale apuana, sita in un vasto perimetro tra i comuni di Carrara e Massa, allora riuniti nell’ unico comune di Apuania, e voluta non solo per ragioni strategiche relative le produzioni chimiche e meccaniche affini all’industria bellica, ma soprattutto come risposta del regime alla devastante crisi economica del settore del marmo, che il fascismo intese risolvere soprattutto in senso autarchico, implementando l’uso del marmo nella architettura pubblica e di regime, quando anche le sanzioni del ’36 diedero una ulteriore frenata alle esportazioni apuane. Ma, soprattutto, il regime e Ricci in prima fila tendeva a staccare il proletariato apuano dalla tradizione legata al mondo del marmo (non a caso l’articolo 12 del Regio Decreto Legge del 24 luglio 1938, convertito in Legge il 5 gennaio 1939, escludeva dalla costituenda Zona Industriale Apuana le lavorazioni del marmo), per creare una nuova presenza operaia completamente nuova, che puntava alla proletarizzazione dei contadini delle campagne massesi e carraresi, alla rottura tra generazioni vecchie e nuove. In effetti, dal ’39 al ’42 gran parte della domanda occupazionale dei giovani e della disoccupazione dei lavoratori del marmo fu assorbita nelle nuove attività della zona industriale che, alla data dell’ 8 settembre 1943 contava 44 stabilimenti occupanti 7.902 unità lavorative; ma proprio la natura di grandi complessi industriali favorì il rapido organizzarsi dentro le fabbriche dei partiti antifascisti, specie in direzione delle nuove generazioni. Il Porto e il Cantiere Navale, ancora agli albori, le altre aziende della zona industriale quali la Montecatini Ammonia e Derivati, La Montecatini Calciocianamide, la Rumianca, la Cockapuania, la S.A.I.M.A., la Breda (costruzione bombe a mano, proiettili e caricatori), la Cementeria Italiana Fibronit, la C.A.S.A. (settore cemento), la Iniex, la Marelli, il Catenificio Bassoli, la Diana (costruzione fusti metallici) la Pirelli divennero rapidamente sedi di cellule organizzate dei partiti antifascisti.

Dal 1940 era iniziato il progressivo rientro dei combattenti antifascisti dalla Spagna, sovente arrestati e spediti al confino, e il regime aveva dato un ulteriore giro di vite in senso repressivo, comprendendo la situazione di particolare fermento in cui versava la zona apuana. Dopo gli iniziali successi dell’Asse, la guerra cambio radicalmente corso a partire dal gennaio 1943 quando le armate sovietiche a Stalingrado, dopo una eroica resistenza durata 3 mesi, annientarono le divisioni del generale Von Paulus. La notizia ebbe un eco enorme, anche nella zona apuana, contribuendo alla nascita della speranza di una prossima fine della guerra e della sconfitta totale dei nazifascisti e risorse, nel contempo, il mito della Russia sovietica, invincibile e indomita, che sola aveva tenuto testa al più potente esercito del mondo, e preparava così il riscatto di tutti gli oppressi e la nascita di un mondo nuovo.

E’ attraverso la formazione di questi elementi della mentalità collettiva, e soprattutto dell’effetto formativo sulle nuove generazioni, quelle che saranno le principali protagoniste della Resistenza, che si può giungere alla comprensione dei motivi che spinsero molti giovani a prendere le armi contro i nazifascisti dopo l’otto settembre 1943.

Questa necessaria sebbene oggettivamente sintetica parentesi di inquadramento complessivo dei tratti e delle caratteristiche principali dell’ antifascismo e del fascismo apuano, resa necessaria dai postulati teorici posti all’inizio della relazione, ci porta finalmente ad affrontare, su basi storiche, il problema della Resistenza a Carrara e nella regione Apuana.
§- V

Quando il 25 luglio 1943, il “colpo di stato” regio obbliga alle dimissioni di Mussolini durante la seduta del Gran Consiglio del Fascismo e viene nominato a capo del governo il generale Pietro Badoglio, si consuma anche la lunga crisi del fascismo apuano, al punto che Carlo Andrei, dirigente comunista e membro del comitato di salute pubblica, affermava che ” a Carrara, dopo il 25 luglio, non vi erano fascisti, perché proprio non c’erano mai stati”, rendendo brillantemente il parossismo di una situazione di disintegrazione di un fenomeno non transitorio, ma durato un ventennio e che aveva coinvolto la città e specialmente le sue classi dirigenti molto in profondità.

In un gesto finale, il 29 luglio, quando si era praticamente spenta l’euforia collettiva e ormai giacevano a terra, spezzate e calpestate le insegne del regime fascista, il segretario del disciolto P.N.F. consegnava al commissario prefettizio Camillo Bruno la Casa del Fascio e pareva davvero, ai più, di essere emersi improvvisamente da un lungo incubo che si era rarefatto alle prime forti luci di un mattino di luglio. Anche gli archivi comunali non hanno nessun documento per il periodo che va dal 25 luglio al 9 settembre, ma solo pochi, in città, si rendevano pienamente conto della fondamentale importanza di quei giorni e di quei fatti, e soprattutto della necessità di sostituire alle tradizionali istituzioni, dissoltesi, una nuova organizzazione basata su principi democratici e capace di non lasciare la città e la provincia allo sbando.

Ai primi di agosto, Carlo Andrei, Romualdo Del Papa e Carmelo Del Nero, si recano, in qualità di rappresentanti dei loro partiti, e di dirigenti del Comitato di Salute Pubblica (già il nome si richiama alla tradizione rivoluzionaria francese tenta di organizzare la vita cittadina e si configura rapidamente quale reale referente di governo per i cittadini in alternativa alle strutture ancora fasciste della organizzazione dello stato)

a prendere possesso del Sindacato fascista lavoratori del marmo, un gesto dalla apparenza rituale, dopo 21 anni dall’ultimo assalto fascista alla Camera del Lavoro, roccaforte del movimento operaio apuano, un gesto carico di significato, come a sottolineare che dalla organizzazione dei lavoratori bisognava ripartire, ricominciare a costruire l’identità della città.

La caduta del fascismo aveva permesso il riemergere di una vita democratica, ancora stentorea, e si andavano componendo, anche in città, movimenti politici e partiti vecchi e nuovi.

Ed è proprio su questa base di collaborazione tra le forze antifasciste che si fonda la caratteristica della Resistenza carrarese ed apuana.

Il movimento anarchico si sforza di staccarsi dal tradizionale isolamento rispetto le altre formazioni politiche e la partecipazione alla gestione della cosa pubblica, e cerca di stringere forti relazioni soprattutto con il Partito Comunista, grazie all’opera di Ugo Mazzucchelli, e della vecchia guardia sono i dirigenti del movimento a Carrara, come Renato Viti, Romualdo Del Papa, Olivo Merlini.

I repubblicani con i fratelli Enrico e Dante Isoppi, Adolfo Caleo, Gino Procuranti, Sergio Cabani, affiancati da elementi della nuova generazione quali Gino Pieruccini, Arturo Frediani, Pietrino Isoppi.

I socialisti, dal vecchio dirigente Carmelo Del Nero a Pietro Binelli, Pietro Lodovici, Ezio Palla, Oscar Lalli, a Giuseppe Sivoli, Gino Grassi.

Giustizia e Libertà, che tanto attivismo aveva profuso nella lotta clandestina, si organizza rapidamente in città sotto la direzione di Filippo Martinelli in un gruppo prevalentemente composto di giovani: Alessandro Menchinelli, Fausto Chiericoni, Evaristo Piccinini, Luigi Procuranti.

La Democrazia Cristiana, con a capo Alberto Bondielli, già autorevole dirigente della Azione Cattolica, e giovani quali Fosco Rossi e Alberto Del Nero.

Infine il Partito Comunista Italiano che rapidamente si amplia, avendo accumulato esperienze diverse sul terreno della lotta clandestina. Come giustamente ha scritto Giuseppe Mariani, ” la lunga permanenza in carcere di alcuni membri ha permesso loro di attingere ad una cultura del tutto ignorata perfino nelle chiuse università italiane. Essi appaiono inoltre agli occhi dei giovani che solo ora possono interessarsi di politica, come uomini di coraggio che non si sono piegati di fronte al potere del fascismo e hanno affrontato il tribunale speciale con la salda convinzione di rappresentare le aspirazioni di libertà delle masse popolari italiane. Il loro particolare sospetto per le situazioni incerte li dirige verso un lavoro di organizzazione semi clandestina, ma effettuato in profondità tra i lavoratori delle cave e delle fabbriche. Il problema dell’unità tra tutte le forze antifasciste è per essi predominante, un vecchio tema sempre ribadito nel loro lavoro cospirativo, che ora diventa più attuale che mai, se si vogliono superare le difficoltà della lotta ingaggiata per trasformare le strutture del vecchio stato.”

La figura di primo piano dei comunisti apuani è Gino Menconi, che rientrato dal confino si adopera per dare vita ad un fronte democratico che comprenda tutte le forze politiche e sociali della città, con lui oltre i comunisti di Avenza che per un ventennio l’avevano seguito nella sua formazione politica, nella lotta clandestina, nel carcere e nel confino, Carlo Andrei, Medardo Angeloni, Amerigo Piccini, Almo Bertolini, che quando rientra dal carcere di Saluzzo, la gente del rione popolare in cui la sua famiglia risiede gli tributa un omaggio entusiastico, ” perché appare come il difensore della povera gente, l’intellettuale che ha sacrificato il suo avvenire per l’elevazione della classe operaia”; e poi Lino Lucchesi, Antonio Bernieri, Alessandro Brucellaria, giovani dirigenti dal differente percorso individuale giunti alla militanza comunista ben prima della caduta del fascismo.

Tra le figure che si distinguono nei giorni successivi al 25 luglio c’è il colonnello Giuseppe Pagano, “che si mischia tra la folla con entusiasmo e dice che , ora che il fascismo è caduto, è necessario cancellarne ogni vestigia” disarmare la Milizia e renderla inoffensiva; insieme con Alessandro Brucellaria dirige un numeroso corteo a manifestare davanti alla federazione fascista e davanti alla sede femminile dei fasci.

Pagano raccoglie attorno alla sua carismatica figura di architetto giovani della piccola e media borghesia, prende contatti con industriali e commercianti e lo slancio sincero con cui opera gli vale la simpatia della popolazione: ma non tutti condividono il suo modo d’agire confuso e disordinato; soprattutto i comunisti, gli anarchici, i giellisti abituati alle cautele rigorose della lotta clandestina.

Il proclama di Badoglio, l’8 settembre, precipita la città in un grande moto di entusiasmo e di gioia, la guerra sembra finita…ma non sarà così.

La mattina del 9 settembre reparti tedeschi entrano in territorio apuano e si scontrano, in più punti, con gli alpini del battaglione “Val di Fassa” di stanza in città e gruppi di civili e di ufficiali carraresi in congedo, tra cui si distinse il capitano Cucchiari. A Marina di Carrara, in Città, a Pianamaggio, sulla Foce la resistenza degli alpini e dei civili viene piegata dalla preponderanza delle forze avversarie. I patrioti lasciano sul terreno il civile Morello Grassi, il sottotenente Aldo Montolli e altri militari, i restanti alpini si sbandano verso le montagne, lasciando armi e vettovagliamento rapidamente raccolti ed occultati dalla popolazione. Lo stesso 9 settembre Gino Menconi, Giovanni Bernardi e Dante Isoppi si recarono a Massa dal comandante del Distretto per chiedere le armi necessarie alle squadre che si stavano formando a Carrara per combattere l’invasore tedesco, armi che furono negate.

I tedeschi stabiliscono il loro quartier generale a Villa Fabbricotti in Padula, poco sopra la città e acquartierano le truppe nelle scuole elementari di Grazzano, e fino al giorno 17 settembre non compiono atti contro la popolazione; ma quel giorno rastrellano decine di persone, assiepate prima nei cortili della colonia Vercelli quindi deportate in Germania.

La vita politica subisce, di nuovo, una svolta fondamentale, si ritorna nella clandestinità: si tratta di dare vita alla resistenza contro i tedeschi realizzando la struttura capace di una direzione politica e militare della stessa. Gino Menconi si accinge a svolgere questo compito, assieme a Carlo Andrei, a Bondielli, Sivoli, Mazzuchelli, Dante Isoppi, Don Giuseppe Rosini, ed altri ancora da vita al primo C.L.N., nel mese di ottobre 1943.

Menconi si trasferisce a Torano, nella segheria Andreani, e acconsente ad incontrarsi con persone della massima fiducia. Carlo Andrei diviene il suo più stretto collaboratore, “egli conosce intimamente tutti gli antifascisti di Carrara e di Massa, sa muoversi con abilità in ogni circostanza, e sotto la semplicità apparente nasconde una notevole intelligenza. Abituato al lavoro clandestino opera con prudenza esemplare. Predispone due o tre rifugi per eventuali spostamenti di Menconi da Torano, e quando ha il sospetto che il suo rifugio non sia più sicuro, lo colloca nella abitazione di Lino Lucchesi presso la stazione ferroviaria di S. Martino.

Il dibattito nel C.L.N.. si concentra sulla risposta da dare ai tedeschi, e la linea proposta da Menconi viene fatta propria dal Comitato, cioè di resistere alle imposizioni dei tedeschi, di disertare i servizi obbligatori sulle strade, e preparare con accuratezza le forme di sabotaggio e di lotta.

Nell’autunno ’43 al C.L.N.. partecipavano Menconi, Andrei e Bernieri per i Comunisti, Giovanni Bernardi e Dante Isoppi per il Partito Socialista, Ugo Mazzuchelli, Olivo Merlini e Romualdo Del Papa per la federazione anarchica, Gino Procuranti e Enrico Isoppi per i repubblicani, Alberto Bondielli e, successivamente Fosco Rossi per la Democrazia Cristiana, Evaristo Piccinini per il Partito d’Azione, ma partecipavano, oltre ad altri esponenti delle forze citate, anche Don Giuseppe Rosini e il Colonnello Architetto Pagano.

In effetti non esisteva una particolare rigidità per la partecipazione, che si voleva comunque allargata a molti dirigenti e militanti, e da questo l’atteggiamento diffidente di Menconi, che preferiva farsi rappresentare dall’Andrei, comprendendo che lui era certamente uno degli obiettivi principali della polizia.

Il C.L.N. rappresentò la forma storica nella quale confluì e trovò espressione di elementare coordinamento una classe dirigente nuova, con forme vecchie e nuove di direzione politica, di lotta per l’indipendenza nazionale e per il rinnovamento del paese in un intreccio di lotta sociale e di lotta armata di grandi e attive minoranze della popolazione.

La complessiva situazione del conflitto e soprattutto le notizie provenienti da Radio Londra, le notizie di altre zone vicine, dove si stavano costituendo bande armate, pose inderogabilmente il problema della formazione di gruppi armati che avrebbero fatto delle Apuane la loro cittadella. Furono quindi create le squadre di gappisti, i Gruppi d’Azione Patriottica, e questa organizzazione militare della Resistenza apuana attiva fino alla primavera del 1944 quando “esplose” il movimento partigiano di massa.

Inizia la preparazione alla guerriglia e si ingrossano le fila della militanza attiva nei partiti del C.L.N.: anche in G.L. che non ha ancora ufficialmente aderito al comitato.

Un discreto numero di studenti universitari converge verso il Partito d’Azione; Paolo Vannucci, Lorenzo Maggio, Mauro Vatteroni, Roberto Mariani, Francesco Cipollini, Giuliano Dell’Amico, Lola Vannucci, Elena Lavagnini, in stretta collaborazione con Martinelli, Chiericoni e Sgalambro iniziano un attivo lavoro di propaganda tra gli studenti di Carrara, Massa e Pontremoli; essi, per mezzo del Capitano di Marina Ragoni, anch’egli giellista, vengono in possesso delle armi lasciate dai marinai sbandati: fucili, bombe, materiale esplosivo vengono occultate per armare le prime unità di combattimento.

Così gli anarchici, che fanno riferimento alla cava di Mazzucchelli, che aveva già ospitato numerosi giovani militari fuggiti o sbandati, tra i quali i fratelli Bernieri al loro rientro a Carrara; così i comunisti che si agganciano definitivamente al centro regionale del partito, a Firenze, da dove ricevono istruzioni e emissari che istruiscono i compagni di Carrara all’opera di sabotaggio. Tra questi vi è Mario Montagnani, che in casa di Antonio Bernieri, ai “Quattro Pini” insegna il modo di affrontare i carri armati e di fare saltare i binari ferroviari. Il Partito Comunista è ormai presente in ogni paese e rione della città con cellule organizzate e prepara un gruppo di donne che avranno un importantissimo compito nell’opera di collegamento: Nella Calzi, Ilva Babboni, Maria Carla Babboni, Lina Piccini, Bruna Conti, Ada Vanelli, Renata Bacciola, Sandra Gatti.

La casa dello scultore Francesco Piccini diviene un centro attivo della Resistenza e dei comunisti in particolare; le armi con cui sono state inizialmente dotate le S.A.P. e le formazioni a monte erano state raccolte in quella casa. Lì opera Renato Bitossi che prepara al lavoro clandestino e all’azione armata un discreto numero di elementi tra i quali Furio Galassi, Osvaldo Menconi, Egidio Gatti, Roberto Romanelli, Emanuele Cordiviola.

A metà del novembre 1943, intanto, Gino Menconi era stato richiamato dal partito a fare parte del Comitato Militare Regionale; da lì, ai primi di giugno del ’44 sarà destinato al comando della piazza militare di Parma.

Anche Antonio Bernieri, sfuggito alla cattura dei tedeschi e dei fascisti sarà chiamato a Firenze dal centro regionale del partito e collaborerà nuovamente con Menconi fino al trasferimento di questi a Parma e sua a Siena a sostituire il segretario di federazione arrestato.

In effetti, durante il periodo autunno ’43 primavera ’44, la Resistenza apuana non compie azioni militari di sorta. Solo nel marzo, il 17 per la precisione, la formazione partigiana di “Oriol” Almo Bertolini attacca e cattura il presidio della milizia al Passo del Cerreto.

E’ difficile rispondere alla domanda del perché di questo lungo periodo di inattività, certamente si intensifica il lavoro di proselitismo e di preparazione politica e militare tra le masse, di organizzazione delle formazioni a monte, e certo non smette l’attività del C.L.N. che rappresentava, a tutti gli effetti un elemento di frattura rispetto alla vecchia classe dirigente italiana; ma sta di fatto che la Resistenza apuana non agisce, almeno sul piano militare, se non alla fine di maggio.

Osserva Ernesto Ragionieri che ” La Resistenza come moto unicamente fondato sulla spontaneità popolare, sarà opportuno il ribadire il particolare carattere di movimento di grandi ed attive minoranze di masse che da esso assunse e della natura e del rapporto fra queste minoranze e queste masse”. Credo si debba indagare in questa direzione per cogliere uno degli aspetti essenziali della Resistenza apuana, quando suscitò una delle intensità tra le più forti che il movimento di Liberazione abbia conosciuto.

Se il quadro dirigente della Resistenza apuana era principalmente rappresentato dai quadri dell’antifascismo e da elementi provenienti dalle fila dei militanti di prim’ordine dei partiti disciolti con l’avvento del fascismo, dai reduci della guerra civile spagnola, delle carceri e del confino, una componente non indifferente, si è visto, era composta da esponenti delle nuove generazioni che avevano entusiasticamente aderito alla lotta di Liberazione e al riscatto dell’Italia dinanzi agli occhi del mondo.

Il fallimento politico del fascismo presso le masse apuane, lo spostarsi della stessa classe economica dirigente in uno “opportuno” ed opportunistico attendismo, simpatizzando sommessamente per Badoglio e per il re, il tallone di ferro dell’occupante tedesco e dei suoi tirapiedi fascisti, e le condizioni sempre più drammatiche di miseria materiale, progressivamente aumentate dal continuo affluire in città di sfollati provenienti da zone viciniori, furono certamente alcuni tra i motivi principali del successo della Resistenza apuana, ma ancor più lo fu lo spirito di allargamento del fronte democratico antifascista e di governo della città promosso dai partigiani.

E inoltre, esiste uno spirito collettivo di una città? Le particolari condizioni storiche e sociali di Carrara fanno tendere verso una qualche ammissione di carattere positivo, di una radicatezza diffusa della solidarietà e della adesione ai valori di rinnovamento e di cambiamento proposti dalla Resistenza e dai suoi uomini.

Altrimenti, come sarebbe spiegabile il fatto che le maggiori centrali operative della Resistenza fossero site nel cuore della città (la sede dei G.A.P. sotto la platea del teatro animosi, gli anarchici in via Beccheria, molte riunioni del C.L.N. svolte nelle cantine del centralissimo negozio di scarpe Fiorino, in piazza Alberica), e difese soprattutto da un muro di omertà contro l’invasore straniero e i famigerati “mai morti”?

Una città come Carrara, di dimensioni relativamente modeste, e in un periodo di enorme saturazione dei vani abitabili (e non) è, in sostanza, facilmente controllabile da chiunque possegga una organizzazione poliziesca; ne è esempio il fatto che, “un giovane ed intelligente commissario di polizia”, dimessosi dall’incarico piuttosto che aderire alla “Repubblichina”, a guerra finita, nel chiedere attestato di attiva collaborazione con la Resistenza, ricostruì tutti gli spostamenti e i rifugi di Gino Menconi in città, di cui era stato puntualmente informato, senza averne rivelato alcunché ai tedeschi e ai fascisti.

Il terreno operativo della Resistenza carrarese non si limitava alla città, dal mare alle cave, ma trovava suo naturale retroterra tutta quella parte di territorio fivizzanese che stava alle pendici nord delle apuane. In un complesso sistema di conoscenze, amicizie e parentele reso possibile dalla storia della crescita urbana e demografica della città.

Le azioni militari, quindi, si susseguono intensamente in questo areale che va dalle spiagge di Marina alle cave di marmo, dalle pendici della Tambura alle valli del Lucido.

In questo contesto di profonda insofferenza popolare verso gli occupanti e i fascisti, nonostante pochi giorni prima sia stata perpetrata una strage atroce di popolazione inerme a Forno, segno della ferocia degli occupanti, la rivolta delle donne carraresi contro l’ordine di evacuazione della città diviene una pietra miliare, un punto fermo della Resistenza e del suo indissolubile collegamento con la popolazione. I Gruppi di difesa della Donna, animati in principio da attiviste comuniste e rapidamente estesi alla partecipazione delle altre forze del C.L.N., e il C.L.N. medesimo avevano a lungo preparato quella dimostrazione che portò circa 700 donne a dimostrare davanti al comando tedesco.

La convinzione di un prossimo arrivo degli alleati aveva portato il C.L.N. a lanciare un volantino che invitava la popolazione ad intensificare la lotta e invitava gli operai degli stabilimenti a sabotare l’opera dei tedeschi che volevano smontare i macchinari per trasferirli al nord. L’iniziativa del partito comunista, raccolta nella parola d’ordine ” non abbandonare la città” mise in moto i Gruppi di Difesa della Donna che, in un volantino diffuso il 16 giugno, invitava le donne a manifestare apertamente il loro malcontento nelle piazze e davanti agli uffici annonari.

Quando, il 7 Luglio fu affisso l’ordine di evacuazione promulgato dal comando germanico, la iniziale reazione di paura e sgomento si trasformò, progressivamente, in determinazione a non abbandonare le proprie abitazioni, ignorando l’ordine del comando tedesco. La rivolta delle donne carraresi del luglio ’44 segna inesorabilmente uno spartiacque nell’azione politica della Resistenza, determinando i termini di uno scontro che, anche sotto il profilo dell’azione militare, andrà vieppiù inasprendosi.

Il 16 luglio i partigiani attaccano la caserma delle Brigate nere nel cuore della città, il 1 agosto vengono assaltate le carceri di Massa, il 17, a Bardine S. Terenzo un gruppo di partigiani si scontra contro un reparto di SS distruggendolo.

La risposta dei nazifascisti non si fa attendere, e tra il 23 agosto e il 4 settembre 1944 viene lanciato un rastrellamento su vasta scala che interesserà tutta la zona retrostante la linea gotica. Durissimi combattimenti al Monte Borla, al Monte Sagro, al Boscaccio, a Campo Cecina, a Colonnata, al Falco, a Tenerano.

La rappresaglia nazifascista che si abbatterà sulle inermi popolazioni civili, nel tentativo di distruggere il retroterra operativo delle formazioni partigiane, il consenso e la collaborazione con queste delle popolazioni e usare il terrore come arma di guerra. Vengono bruciati e devastati quasi tutti i paesi delle Apuane: Vinca, S. Terenzo Bardine, Tenerano, Bergiola Foscalina, Guadine, Castelpoggio, Fosse del Frigido: 566 civili inermi, soprattutto donne, bambini e vecchi vengono barbaramente trucidati in quei giorni. Ma l’orrore non piega la gente apuana, che risponde alla ferocia nazifascista intensificando la lotta e l’azione della Resistenza.

I tedeschi attaccano le cave, nel tentativo di espugnare quella cittadella della libertà e sono respinti e sconfitti, viene loro impedito di fare saltare i ponti della ferrovia marmifera, e nei combattimenti al Torrione, il 24 settembre, vengono nuovamente respinti con pesanti perdite.

La risposta della resistenza carrarese è audace, il nemico vacilla; si arriva, il 25 ottobre, ad un rastrellamento in città, ma questa volta compiuto dai partigiani, dove si catturano 17 della Guardia Nazionale Repubblicana.

In un clima di entusiasmo e di consapevolezza della propria forza e della radicatezza tra la popolazione civile, l’8 novembre 1944 avviene la prima liberazione di Carrara; dopo aspri combattimenti le formazioni partigiane entrano in città e la liberano, nell’esultanza generale.

La prima liberazione di Carrara, ingiustamente criticata come “mossa avventata e prematura” dal Comando di Divisione della Lunense, era nata a seguito di condizioni particolari ed eventi che, ad un dato momento, sfuggirono al controllo dello stesso C.P.L.N.

Infatti a seguito di numerosi arresti di partigiani, causati da una spia tedesca, una donna italiana assai affascinante, Anita Sanna, che aveva progressivamente conquistato la fiducia di giovani partigiani e provocò l’arresto di 19 cittadini, perlopiù giovani, dai quali, con ogni mezzo, si voleva sapere chi fossero i dirigenti del C.L.N. e i dirigenti militari della Resistenza.

Le famiglie degli arrestati, tra i quali erano i figli di note famiglie della borghesia Carrarese, fecero molte pressioni sul C.L.N. per addivenire ad una liberazione degli ostaggi che, si diceva, sarebbero stati fucilati da un momento all’altro.

Il 7 novembre, il Comando Brigata fece disporre formazioni partigiane nei punti strategici sopra la città, controllandone tutte le vie d’accesso, e decise inoltre una azione partigiana da svolgersi in piena città e in pieno giorno: l’eliminazione della donna. Una squadra sappista, comandata dall’anarchico Giovanni Mariga detto il “Padovan”, attese la donna nella centralissima via Roma e la freddò, inseguendo poi, invano, il suo compagno, svanito all’interno del palazzo del Politeama Verdi. La donna, ormai cadavere, fu caricata su di un carretto e trasportata all’ospedale tra due ali di folla, dove il dottor Umberto Bertoloni, di guardia al Pronto Soccorso, ne costatò il decesso e consegnò un libriccino fitto di nomi e notizie e altre carte a Giuseppe Mariani del C.L.N. che era presente.

Di fatto, dopo quell’azione, le formazioni partigiane entrarono in città, scontrandosi più volte con i tedeschi, che rapidamente l’abbandonarono per ritirarsi verso il mare. La notizia, grazie a Radio Londra, si diffuse rapidamente in tutto il mondo.

Il Ridotto del Teatro degli Animosi divenne la sede ufficiale dei tre Comitati di Liberazione, quello provinciale, quello di Carrara e quello di Massa, iniziando ad organizzare il lavoro necessario alle esigenze dei circa 120.000 cittadini presenti in città e preparandosi per le trattative richieste dal comando tedesco per la liberazione dei prigionieri.

In tutta la vicenda della Resistenza apuana, un ruolo assai importante fu svolto da esponenti della comunità di lingua tedesca presenti in città, svizzeri in particolare, o italiani quali il commerciante di marmi triestino Giulio Ridler, interprete ufficiale del comando tedesco, ma vicino alla Resistenza, a cui passava puntualmente, preziose informazioni sulle iniziative che il comando tedesco intendeva intraprendere.

In effetti, da quando ai primi d’ottobre era stato ucciso il fratello di Renato Ricci, il “Ras” d’Apuania, le Brigate nere avevano abbandonato la città e gli informatori della “Repubblichina” non potevano fare altro che inviare a Salò informazioni sul generale clima di ostilità verso fascisti e tedeschi, ampiamente dimostrato dalla popolazione; di conseguenza, ogni azione di carattere doppiogiochista era improba, visto che le sorti della guerra e ancor più quelle della prossima liberazione della città erano assai vicine.

Esisteva, quindi, una fitta rete di informazioni, di triangolazioni insomma, che mettevano il C.L.N. in condizione non solo di governare di fatto la città, ma di trattare con i tedeschi alla pari tutta una serie di situazioni e problemi come quelli accennati.

Non esisteva, in sostanza, una preponderanza dell’occupante tale da escludere contatti di sorta coi partigiani e spadroneggiare sulla città, e questo è più un chiaro sintomo della debolezza e dell’isolamento dell’occupante che non un limite del C.L.N., che in sostanza impose ai tedeschi di mediare, a favore della città e dell’azione della Resistenza ogni scelta strategica e militare disposta dagli Alti Comandi Germanici.

In effetti, dopo i grandi rastrellamenti e dopo la fuga delle Brigate nere, venne meno l’esigenza della rigida clandestinità, e il C.L.N. si configurò come l’unica autorità di governo riconosciuta dai cittadini, e proprio perché i suoi membri erano conosciuti e riconosciuti dalla popolazione apuana, ad essi ci si rivolgeva ed in essi, nel loro operato democratico, si ponevano alcune fondamentali condizioni che avrebbero caratterizzato la successiva epoca repubblicana.

Il C.L.N. organizzò praticamente l’amministrazione civile, creò una propria esattoria, affidandone la direzione ad Ugo Mazzucchelli, comandante della formazione di stanza più prossima alla città: qui furono convocati i cittadini più ricchi, chiedendo loro di contribuire concretamente, a secondo delle proprie disponibilità economiche, a lenire la penuria di generi alimentari; dagli stabilimenti della zona industriale furono prelevati quelle merci scambiabili con danaro e generi alimentari; furono infine convocati i direttori delle banche cittadine nella sede della Banca d’Italia, ed esposte loro le drammatiche condizioni alimentari della città, si chiesero i fondi necessari per provvedere agli acquisti.

Ma, come ricorda Mariani, “alle pacate argomentazioni del C.L.N. in veste di autorità politica e civile, si rispose con un rifiuto, giustificandolo con l’impossibilità di poter comunicare con le Direzioni Generali per avere da queste l’autorizzazione ad effettuare i versamenti richiesti”. “Soltanto quando il C.L.N. si presentò a questi signori con la grinta autorevole del partigiano armato di mitra, il denaro scaturì fuori anche dalle banche, e si poté organizzare un ente cittadino di assistenza che, dal novembre 1944 al maggio 1945, curò la corresponsione di ventimila trecento sussidi in danaro, la distribuzione di trecento quintali di farina di grano a seimila nuclei familiari, di tremila paia di zoccoli per i senza scarpe, ed inoltre medicinali per gli ammalati, fior di farina per gli assistiti della maternità ed infanzia…” “Furono riorganizzati 29 asili infantili nel territorio di Carrara e si provvide al mantenimento di quelli esistenti nel comune di Massa.”

L’opera del C.L.N. fu enorme e di vasta portata; ed estremamente proficuo il lavoro di trasmissione di informazioni ai comandi alleati sulle mosse delle truppe tedesche, di collegamento con le missioni del C.L.N. presso il governo di Roma, per chiedere aiuti in danaro allo scopo di fronteggiare la drammatica situazione di penuria alimentare delle popolazioni, e soprattutto, per legittimare la forza e la radicatezza democratica e popolare della Resistenza apuana.

Sebbene il proclama del generale Alexander avesse gettato i partigiani nello sconforto e nella costernazione, quando, oggettivamente, sia da un punto di vista militare che logistico era possibile una rapida avanzata fino al fiume Magra, la Resistenza apuana non dismise il suo attivismo, fino alla vittoria.

Dal novembre ’44 all’aprile ’45 fu un susseguirsi di azioni militari che tendevano a mantenere l’occupante in un perenne stato di tensione e di insicurezza, sottoposto ad una pressione incessante delle formazioni partigiane vieppiù numerose ed organizzate, soprattutto grazie all’ armamento sottratto al nemico.

Il bombardamento aereo alleato di Carrara, il 19 gennaio ’45, che provoca decine di vittime civili e non centra per nulla l’obiettivo militare previsto, il comando tedesco non molto distante, diviene occasione per una ulteriore prova di solidarietà tra partigiani e popolazione, con le formazioni che scendono in città e si prodigano nell’opera di soccorso alle vittime, e fa sì che il C.L.N. invii un dispaccio ai comandi alleati dove si affermava che ogni azione militare alleata in terra apuana dovrà essere preventivamente concordata con il C.L.N..

Ai primi del marzo ’45 una coraggiosa azione partigiana libera il comandante della Garibaldi “Memo”, preso prigioniero dai tedeschi, grazie ad una azione repentina che procura 69 prigionieri da scambiare con il comandante Memo.

Infine, l’8 aprile scatta l’insurrezione e le città apuane vengono definitivamente liberate dai partigiani che consegnano agli alleati, arrivati in città l’11 aprile, ben 710 tedeschi fatti prigionieri, mentre altri 300 sono caduti sotto il fuoco partigiano. Dall’8 al 16 aprile si susseguiranno combattimenti su tutta la linea, ai “Quattro Pini”, a Codena, alla Foce, Monte Paga, Miseglia, Torano, Monte d’Arma, Castelpoggio, Forte Bastione, Sorgnano, Belvedere, villa Pollina, Stabbio, Fontia, Avenza, Fossone: tutte le formazioni insorgono e impediscono ai tedeschi di attestarsi sulle zone collinari.

La liberazione delle città apuane, come ricorderà in un suo messaggio il Colonnello Miller, avvenuta per la sola mano dei partigiani, permetterà una rapida avanzata sulla Liguria.

Nel concludere questa relazione, che certamente avrebbe abbisognato di più tempo, e anche di una maggiore ricerca documentaria, è doveroso rilevare che, come si sarà ormai notato, non è stato nostro intendimento soffermarci lungamente sui fatti dettati dalla semplice cronologia degli avvenimenti, ma piuttosto cogliere gli aspetti essenziali e determinanti, le caratteristiche della Resistenza apuana, e soprattutto le sue radici storiche e sociali. In questo senso abbiamo ritenuto utile offrire un contributo di spunti e di ricerca, convinti che questo grande patrimonio democratico di libertà e di speranze, di lotta e di sacrificio, dovrà essere ancora molto studiato ed approfondito, per consegnarlo alle giovani generazioni ancora vivo e forte, come vivi e forti restano gli ideali della Resistenza.

Stralci del documento che viene qui allegato, furono pubblicati in un articolo di Fausto Marchetti su Carrara Marmi, giornale del Comune di Carrara, nella prima metà degli anni ’70. Si tratta di un documento di estremo interesse, dato che provvede a raccogliere per ben 11 mesi informazioni e fatti accaduti a Carrara e nelle zone vicine durante l’occupazione tedesca.

Il documento integrale è in corso di stampa presso i tipi della Aldus- Casa di Edizioni in Carrara.

Il punto di vista di Ciaranfi è quello di buona parte di certa borghesia carrarese, che non seppe o non volle schierarsi apertamente durante la fase del conflitto, mantenendo una prudente attesa. Un punto di vista moderato, certamente distante da atti e iniziative della “repubblichina” e dei sui uomini, ma sempre guardinga verso il “pericolo “costituito dai ribelli, che sebbene diverranno, una volta chiaro l’esito finale del conflitto, definiti “patrioti, si attendeva con fiducia l’arrivo delle truppe alleate, le uniche capaci a temperare il predominio dei partiti di sinistra sul CLN e le formazioni partigiane.

Il Diario di Ciaranfi, costellato da una quantità enorme di notizie tali da ricostruire giorno per giorno l’andamento degli eventi bellici, ci rende pure la precaria realtà alimentare delle popolazioni apuane, dei prezzi dei generi alimentari medesimi, del fiorire della borsa nera, e della efficacissima azione del C.L.N. tesa a calmierare i primi e sconfiggere la seconda.

Con numerose annotazioni relative le attività di sportello e di banca del suo istituto, con gli impiegati orgogliosamente attaccati al funzionamento dello stesso in qualsiasi condizione, allo scopo di dare un servizio costante ai clienti, ci presenta la realtà delle “quinte” dell’ economia apuana, della reazione dei maggiori Istituti alle necessità del credito e della circolazione, sebbene minima, del danaro necessario a mantenere in vita l’esile economia bellica.

Ne esce il quadro di una città in ginocchio dal punto di vista economico ed alimentare ma tutt’altro che piegata nello spirito.

Altrettanto importanti sono le annotazioni degli episodi salienti, dalla rivolta delle donne carraresi ai fatti d’arme, alle stragi dei nazifascisti, e ad interessanti quanto importanti dichiarazioni espresse dagli stessi tedeschi durante la fase dell’occupazione.

L’ultima parte, infine, ricostruisce la vicenda controversa del braccio di ferro tra C.L.N. da una parte e Banche ed Industriali dall’altra per il salvataggio delle strutture portanti dell’ economia carrarese, dall’escavazione al commercio dei marmi fino alla ferrovia Marmifera: ne esce ancor più limpido il ritratto di un C.L.N. che fu veramente un organismo di governo realmente riconosciuto dai cittadini carraresi, capace di dare risposte e di raccogliere attorno a se una solidarietà pressoché totale della popolazione civile.

Daniele Canali