Ho fatto sicuramente tribolare mio padre, negli anni. Così come lui ha fatto tribolare me, che l’
unica volta che è venuto a vedermi suonare se ne è andato prima, dicendo che se fosse stato uno di
quelli che abitavano in quella piazza avrebbe sparato….
Però, alla fine del tutto, è lui che mi ha insegnato a stare al mondo. Lui e poi tutto il resto.
Non si è mai definito anarchico, nemmeno per idea, però mi ricordo di essermi inorgoglito una
volta, davanti alla televisione, quando disse che, quando li sentiva parlare di patria e di bandiera,non
riusciva ad ascoltarli.
Mi rattrista non essere riuscito, come mi sarebbe piaciuto, a scrivere tutte le storie che raccontava
sugli anni dei partigiani. Negli ultimi anni ho provato tante volte a chiedergli di dettarmele, o di
raccontarle davanti ad un registratore, da solo o meglio ancora coi suoi amici, davanti ad un fiasco
di vino, ma non sono riuscito a fargli vincere la ritrosia che gli faceva sembrare l’ atto dello
scrivere, o del raccontare a qualcuno che scrive, un atto presuntuoso rispetto a delle storie di
ragazzi. Storie di ragazzi che hanno cambiato le vite di tutti, come minimo. Ma loro non lo
sapevano, per lo meno mentre le cose accadevano.
Di tutte le storie che raccontava, l’unica che mi è restata intera, con un inizio ed una fine ed una
trama chiara, è la storia di Sigfrido. Mille altre storie mi restano come inizi, finali…. il suo amico
che di fianco a lui, studiando un arma appena paracadutata dagli inglesi, fa partire uno sparo che
colpisce un altro loro amico dell’ età che avevo io quando guardavo in controluce le tette delle mie
compagne di classe nel tempo informale dell’ ora di religione.
Mio padre era del ’25, e ha combattuto con i partigiani negli ultimi 2 anni di guerra, per cui fra i 18
ed i 20 anni.
Una sera, immagino del ’44, mentre erano in perlustrazione, mi sembra nei boschi sotto Bedizzano
o Colonnata, sentirono, in mezzo ai suoni dei boschi, un qualcosa di strano. Si avvicinarono al
rumore, riconobbero un pianto. Vincendo il timore e lo stupore, trovarono un ragazzone tedesco
ubriaco di vino e di tristezza, che barcollava indifeso nel buio fregandosene altamente e
incoscientemente della seconda guerra mondiale che rotolava intorno a tutti loro, col suo gran
carico di bombe, morti, statisti, grandi uomini.
Sigfrido aveva perso tutta la sua famiglia sotto un bombardamento su una qualche città tedesca, io
ricordo e scrivo Lipsia ma non vuol dire niente.
Sigfrido aveva la stessa età di mio babbo e dei suoi e piangeva, non stava certo a urlare heil hitler
ma piangeva, ubriaco e triste e distrutto come chiunque altro avrebbe pianto ubriaco e triste e
distrutto dalla notizia di una moglie e figli ( o figlio, o figlia, non conta) andati via con le bombe.
Mio babbo e gli altri con lui lo fecero prigioniro per dovere e compassione , e, tristi, lo portarono
con loro in una qualche capanna sulle Apuane.
Nel tempo successivo lo tennero con loro, mi immagino lui che si sedeva a piangere su una roccia
mentre loro ascoltavano la radio, o guardavano le mosse dei fascisti del cazzo con un binoccolo o
piangevano i loro morti a Vinca, Castelpoggio, Stazzema . O anche tutti quanti assieme, ragazzi su
un prato al Vergheto, che si dividevano sigarette e vino e tutto quello che dal basso arrivava e non
erano, a volte, solo brutte notizie. Che magari arrivavano, e magari per qualcuno dei ragazzi su in
montagna arrivavano notizie come quelle che avevano distrutto Sigfrido.
Venne il momento di uno scambio di prigionieri, e furono contenti di poter librare Sigfrido,
sperando che almeno lui se ne tornasse a casa, se si poteva chiamatre casa quel buco nell’ anima che
lo aspettava.
Sigfrido se ne andò, lasciando loro, i prati dove avevano fumato assieme, mangiato e bevuto
assieme, ed ognuno aveva visto Sigfrido piangere e Sigfrido aveva visto piangere tutti gli altri
ragazzi, soli od assieme, lucidi e rabbiosi o ubriachi e spaventati.
Come chiunque altro, in giorni di guerra, eccetto quelli che le guerre le guardano dall’ alto.
Mesi dopo, partigiani della squadra ( formazione, brigata, non lo so e non cambia niente )di mio
padre andarono a Parma ( in tutte le storie partigiane c’ è un viaggio a Parma..) per rifornimenti.
Mentre tornavano giù, i rifornimenti per i partigiani dovevano apparire rifornimenti civili, furono
fermati dai tedeschi a Sarzana. Sul camion, tra sacchi di farina, sale e patate, c’ erano dei ragazzi
che erano sui monti con mio babbo. I tedschi controllavano il passaggio ed uno di loro fu incaricato
di controllare.
Sigfrido, che ancora era costretto, malgrado tutto, a fare il soldato nazista, infilò la testa dentro il
camion e vide i ragazzi che lo avevano tenuto prigioniero, che avevano diviso le sigarette con lui,
che lo avevano raccolto mentre, vittima pure lui delle bombe che non chiedevano ( e tuttora non
chiedono )niente a nessuno, piangeva i suoi morti.
Tirò fuori la testa dal telone del camion, guardò i suoi capi, sorrise e dise “alles is gut, solo farina ,”
e dentro aveva sorriso con uno spicchio di bocca ai ragazzi che tremavano di pura e spianavano
pistole e avevano, come minimo, fame e paura.
E mi piacerebbe un bel po’ incontrare Sigfrido, anzi mi piacerebbe che mio padre l’ avesse
incontrato, e comunque questa è , tra tutte le storie partigiane che ho sentito, quella che mi ha
insegnato di più e quella che spero di poter raccontare a Tommaso un giorno, dicendogli che,
quando li senti parlare di patria e bandiera, devi mandarli affanculo!!